RIFLESSIONI E CONCLUSIONI A UNA SETTIMANA DI DISTANZA
E' trascorsa poco più di una settimana dallo storico referendum dei lavoratori di Mirafiori sull'accordo tra FIAT e sindacati che ha deciso le sorti dello stabilimento torinese; pertanto ora che i bollenti spiriti di entrambe le parti si sono calmati si può fare una valutazione lucida e fredda della vicenda.
La domanda che tutti continuano a porsi è "chi ha vinto e chi ha perso?"; una cosa è certa, indipentemente che Marchionne abbia ragione o torto tale vicenda rappresenta per i sindacati un punto di non ritorno che già ora, ma ancor di più in futuro, porterà a della spaccature sul fronte sindacale, specie nella "triade" CGIL-CISL-UIL.
E' chiaro che oltre al ruolo degli "sconfitti", i sindacati dovranno guardarsi allo specchio per fare un po' di sana autocritica e spartirsi le responsabilità non tanto sulla singola vicenda di Mirafiori (chi ha detto SI e chi ha detto NO all'accordo) quanto sulle cause che in questi anni hanno portato a tale situazione.
Da 20-25 anni i sindacati hanno perso la loro ragion d'essere, assumendo non più il ruolo di rappresentanza dei lavoratori bensì quello di una "casta di politicanti" fine a se stessa con l'obbiettivo di spingere verso la carriera politica qualche delegato sindacale raccomandato; insomma se da 20 anni i sindactai vengono definiti "la terza casta" (a fianco a quella dei politici e a quella degli insustriali) un motivo ci sarà.
D'altro canto l'a.d. FIAT, Sergio Marchionne, definito da molti il "Super-manager del XXI secolo" al punto da essere stato pure eletto "L'Uomo dell'anno 2009" dal Times Magazine, è uscito vittorioso dalla vicenda di Mirafiori dopo averla spuntata anche a Pomigliano al punto di voler proporre lo stesso piano d'investimento anche presso lo stabilimento FIAT di Melfi.
Tuttavia non si può fare a meno di precisare come Marchionne abbia più volte espresso punti di vista alquanto contraddittori sulle sorti degli stabilimenti FIAT in Italia; solo nel 2008 l'a.d. FIAT dichiarò che i costi di gestione degli stabilimenti rappresentavano appena il 7-8% dei costi totali di un'azienda e che quindi sarebbe stato inutile accanirsi su coloro che lavorano 8 ore al giorno in catena di montaggio. E poi??... Improvvisamente l'inversione a U da parte dell'a.d. del Lingotto dopo l'accordo di Detroit nel 2009 per l'acquisizione della Chrysler da parte della FIAT, Marchionne cominciò a venir fuori con le sue dichiarazioni profetiche a proposito della competitività del Lingotto sui mercati internazionali, sulla necessità di rivoluzionare le relazioni industriali e sulla ripresa economica rivolta al cambiamento.
Vien da chiedersi: cosa c'è stato dietro all'accordo di Detroit?? cosa ha spinto Marchionne a portare il marchio FIAT negli Stati Uniti??
La risposta è molto semplice; Marchionne decise di intraprendere tale strada quando capì che il Ministero del Lavoro italiano avrebbe potuto togliere gli incentivi statali al Lingotto.
Quello che la gente comune dovrebbe chiedersi è dove siano finiti i tanti soldi pubblici stanziati dallo Stato verso la FIAT negli anni in cui il Lingotto era sull'orlo del fallimento (periodo 2001-2004).
Marchionne dichiarò pochi mesi fa che la FIAT "starebbe meglio senza l'Italia", come se gli stabilimenti FIAT italiani e gli incentivi statali rappresentassero una sorta di zavorra e che sarebbe stata necessaria una rivoluzione di essi per favorire la competitività del marchio FIAT sul piano internazionale.
Sarebbe stato opportuno ricordare a Marchionne che senza gli ingenti finanziamenti pubblici ricevuti negli ultimi anni, la FIAT oggi sarebbe fallita già da un pezzo per poi finire in mano a qualche gruppo automobilistico magari dell'Estremo Oriente; inoltre sarebbe stato ancora più opportuno ricordare a Marchionne che per favorire la competitività internazionale del gruppo FIAT non sarebbe stata necessario alcun accordo-diktat imposto da imporre ai lavoratori, pensando alla situazione del gruppo automobilistico Volkswagen in Germania.
La Volkswagen in Germania non è mai arrivata ad imporre simile accordi, sapendi benissimo che qualora ci avesse provato lo Stato tedesco avrebbe nazionalizzato l'azienda senza pensarci due volte; da sempre la politica industriale della Volkswagen è riuscita a mantenere gli stabilimenti più importanti in Germania, a portarli ad una produttività tripla rispetto agli stabilimenti italiani, a mantenere degli ottimi rapporti sia con le istituzioni nazionali che con i sindacati tedeschi e ad essere allo stesso tempo competitiva a livello mondiale al punto di essere il gruppo automobilistico leader nel mondo con una quota di mercato pari 24%.
Per finire, non si può fare a meno di mettere in evidenza le enormi responsabilità del governo italiano sulla vicenda FIAT, in questi mesi il Ministro del Lavoro Sacconi ha fatto poco e nulla per svolgere, come sarebbe stato giusto fare, un ruolo di mediazione tra FIAT e sindacati, va ricordato inoltre che alla vigilia del referendum il Presidente del Consiglio Berlusconi ha dichiarato legittima la decisione di Marchionne di portare gli stabiliementi FIAT all'estero, in caso di vittoria dei NO all'accordo.
Uno governo responsabile, intenzionato a tutelare il lavoro e la libertà di voto da parte dei cittadini su qualsiasi questione (come è riportato nella Costituzione Italiana), non avrebbe mai tollerato un simile ricatto da parte di un'azienda nei confronti dei propri dipendenti (della serie "o votate SI, o vi chiudo lo stabilimento e delocalizzo tutto"), al contrario sarebbe intervenuto per fare presente all'azienda che nelle relazioni industriali in genere si "contratta" e non si "ricatta" e nel caso più estremo avrebbe nazionalizzato l'intera azienda favorendo la partecipazione dei lavoratori alla gestione di essa e agli utili aziendali.
Resta il fatto che l'attuale governo ha "spalleggiato" la FIAT mantenendo la propria linea liberista e anti-sociale, favorendo lo smantellamento dei contratti nazionali di lavoro e con essi la "mondializzazione" del lavoro italiano(ed europeo), tutto in nome della "flessibilità dei contratti",della "produttività" e della "competizione globale".
Ario Corapi
Università di Torino
Facoltà di Scienza Politiche
Facoltà di Scienza Politiche
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