Happy Family
Un film di
Gabriele Salvatores. Con
Fabio De Luigi,
Diego Abatantuono,
Fabrizio Bentivoglio,
Margherita Buy,
Carla Signoris.
Commedia, durata 90 min. - Italia
2010.
La vitalità del cinema nel nuovo sogno di mezza estate (milanese) di Gabriele Salvatores
Marianna Cappi
Filippo e Marta hanno sedici anni e la ferma decisione di sposarsi. Marta dovrà persuadere i suoi genitori, passando sopra l’isteria della madre e l’indolenza del padre, Filippo dovrà convincere la madre ma può contare sulla benedizione del suo secondo marito, Vincenzo. Alla cena che riunisce alla stessa tavola i figli cocciuti e i parenti sballati, finisce anche Ezio, il narratore di questa storia, coinvolto da un incidente in bicicletta e convinto da un colpo di fulmine in ascensore.
Salvatores "fait du cinema”, nel senso in cui i francesi usano la locuzione per dire “mente, inventa, dice cose che non sono vere”, ma lo fa scopertamente, mostra il dispositivo, si chiede e ci chiede cosa, in fondo, sia vero e cosa illusorio. I suoi personaggi escono ancora una volta da uno schermo, come fanno quelli di Majakovskji, Buster Keaton o Woody Allen, anche se questa volta è lo schermo di un computer, un monitor. Non è questo genere di boutade che interessa forse al regista, ma egli pare servirsi del fortunato testo di Alessandro Genovesi per “monitorare” lo stato di un sistema in evoluzione e “ammonire” tutti quanti, in platea o dietro le quinte della macchina produttiva, rispetto alla paura di cambiare, di provare sentieri nuovi, di muovere ciò che è fermo, dato, riconoscibile. Come i sei personaggi di Pirandello in cerca di autore (un testo che, non a caso, avrebbe da sempre voluto tradurre in cinema Godard), Salvatores e i suoi compagni di viaggio rivendicano con brio la possibilità di un cambiamento all’interno dell’apparentemente immutabile tradizione del realismo nella messa in scena cinematografica italiana.
Happy Family gioca con la filmografia del suo creatore e con il cinema altrui –soprattutto quello di Wes Anderson (Rushmore, I Tenenbaum) ma anche I Soliti Sospetti e 8 e ½ (la malinconica bellezza di Bentivoglio)- per costruirsi ancora una volta lungo la spina dorsale di ciò che davvero interessa e riempie il modo di fare cinema di Salvatores, almeno da Nirvana (dove Abatantuono era già protagonista di un videogioco) in poi, vale a dire la contaminazione tra i media e i loro differenti linguaggi. Teatro, letteratura, immagini della Storia (Milano di notte, così vera da sembrare fantastica) e storia delle immagini (le tante citazioni): come fa Ezio con quel che ha in casa – una pallina della lavatrice, un disco di Simon e Garfunkel, una cartolina da Panama - Salvatores crea sempre a partire da ciò che ama ma non conosce replica o duplicato. Lasciata la pioggia fredda e senz’anima di Come Dio Comanda approda con altrettanta intensità di fattura e risultato alla commedia. Ancora padri e figli e sogni di libertà, ma ora anche madri e figlie, una vecchia e un cane. La famiglia si amplia, il cinema italiano con lei.
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