Pubblichiamo l’articolo “Scesi dal soglio di Pietro”, pubblicato
sull’edizione odierna dell’Osservatore Romano (nella foto in pagina,
Benedetto XVI davanti alla teca che raccoglie le spoglie di Celestino V,
durante la sua visita alla Basilica di Collemaggio nell’aprile 2009).
La risposta di Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo,
era stata esplicita. Alla domanda del giornalista Peter Seewald
(«Quindi è immaginabile una situazione nella quale lei ritenga opportuno
che il Papa si dimetta?») aveva detto «Sì. Quando un Papa giunge alla
chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente,
mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora
ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi».
In verità, la ricostruzione storica dei casi in cui si è interrotto
un pontificato prima della morte del Papa, ci riconduce a pochissime
figure e in nessun caso a una situazione come quella che si è verificata
con la decisione di Benedetto XVI.
Agli albori della Chiesa, quando ancora la predicazione degli
apostoli era realtà viva e ricordata per testimonianza diretta, troviamo
la figura di Papa Clemente: nella lista dei vescovi di Roma stilata da
Ireneo di Lione indicato come terzo successore di Pietro dopo Lino e
Anacleto. Le fonti non sono univoche nel ricostruire una data esatta del
suo Pontificato: secondo Eusebio di Cesarea sarebbe succeduto ad
Anacleto nel dodicesimo anno di Domiziano, cioè nell’anno 92 (Historia Ecclesiastica,
III, 15). Ma Girolamo riporta, oltre a questa, anche la tradizione che
voleva Clemente come successore immediato di Pietro. Epifanio di
Salamina si chiedeva come mai un contemporaneo degli apostoli fosse
subentrato solo più tardi nell’episcopato romano e ipotizza che gli
apostoli possano aver ordinato chi li sostituisse nel governo della
Chiesa romana mentre loro erano impegnati nel ministero apostolico.
Epifanio immagina, sulla base della lettera della Chiesa dei Romani a
quella dei Corinzi (cfr. 54, 2) — tradizionalmente attribuita a Clemente
anche se, in realtà, il fatto non è documentato, e nella quale si
esortano i più generosi ad allontanarsi piuttosto che suscitare
sedizioni, divisioni e discordie — che in questo passo si rifletta una
situazione personale dell’autore il quale, per non suscitare problemi
all’interno della comunità, si sarebbe astenuto dall’esercitare le
funzioni episcopali finché non vi fu costretto alla morte di Pietro, di
Lino e di Cleto.
Siamo però in un ambito in cui il condizionale è d’obbligo e le
notizie mancano del necessario fondamento storico. Anche perché — è
l’orientamento degli studi attuali — almeno fino al ii secolo la guida
della Chiesa di Roma sembra vedere come protagonista un collegio di
presbiteri piuttosto che una figura prevalente.
Da
Clemente si passa a Ponziano. Diciottesimo vescovo della Chiesa di
Roma, la data di inizio del suo episcopato va fissata, per congettura,
al 230. La fonte più attendibile, il Catalogo liberiano,
stabilisce la durata del suo ministero in cinque anni, due mesi e sette
giorni. Nel 235 Ponziano fu deportato in Sardegna insieme con il
presbitero Ippolito. La durezza del provvedimento risulta dal testo
dalla specificazione: in insula nociva, formula che
probabilmente intende il clima insalubre e la condanna ai lavori forzati
in miniera. Il catalogo ricorda quindi la data della rinuncia di Papa
Ponziano alla carica, rinuncia espressa con il termine tecnico discinctus est (cfr. Thesaurus linguae Latinae, v, 1, Lipsiae 1909-34, col. 1316), avvenuta in Sardegna (in eadem insula) il 28 settembre e l’ordinazione, come successore, di Antero il 21 novembre.
Ponziano, come ipotizza l’Enciclopedia dei Papi, «potrebbe
essere stato spinto da un ammirevole realismo, avendo dato per certo che
non sarebbe uscito vivo dalla deportazione, e che l’assenza di un
pastore avrebbe nuociuto al gregge. Ma circostanze particolari
potrebbero averlo indotto a un gesto di forte significato simbolico. Se
il presbitero Ippolito esiliato con lui, sia o meno da identificare con
l’autore dell’Èlenchos, fosse stato il capo spirituale di una
comunità romana dissidente con l’orientamento in quel momento
maggioritario rappresentato da Ponziano, il gesto di quest’ultimo
acquisterebbe ulteriore spessore in quanto teso a favorire o sancire una
riconciliazione. E se ci si volesse spingere oltre nel campo della
congettura l’elezione a Roma di Antero, un greco di origine orientale,
come dovrebbe essere stato Ippolito, avrebbe il sapore di una ulteriore
apertura alla riunione delle varie componenti della comunità romana».
Con un salto di circa tre secoli si giunge a Papa Silverio. Alla
morte del padre (Papa Ormisda) nel 523, ne compose l’epitaffio, oggi
perduto, nel quale celebrava i tentativi di riconciliazione con
l’Oriente e il ritorno dell’Africa alla libertà. Non è noto se all’epoca
Silverio fosse già entrato nel clero, poiché l’iscrizione non porta
alcun titolo, ma si sa che quando giunse la morte di Papa Agapito,
avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, egli era suddiacono della
Chiesa di Roma.
La sua candidatura al soglio pontificio, imposta da re Teodato, secondo il cronista del Liber pontificalis
suscitò un diffuso malumore tra il clero, come reazione al rango
modesto del candidato nella gerarchia ecclesiastica. Era la prima volta
che un suddiacono accedeva al pontificato. Silverio si impegnò nella
lotta contro i monofisiti nel concilio che si svolse dal 2 al 4 giugno
del 536, durante il quale fu condannato in contumacia Antimo, che fu
deposto dalla sua sede di Trebisonda. Questa politica di repressione del
monofisismo indispose l’imperatrice Teodora, che decise la rovina di
Silverio inviando una lettera al generale Belisario nella quale gli
intimava di deporre il Papa.
Belisario obbedì convocando i presbiteri, i diaconi e tutto il clero
affinché eleggessero Vigilio, che fu consacrato il 29 marzo 537, sebbene
il Liber pontificalis lo designi come diacono fino alla morte
del suo predecessore. Secondo la stessa fonte Silverio fu confinato
nell’isola di Palmarola, una delle Pontine, e ridotto alla stato
monastico. Liberato parla invece di un primo esilio a Patara, in Licia,
mostrando una relativa concordanza con Procopio, il quale riferisce che
Belisario mandò il Papa accusato di tradimento «in Grecia».
In tutt’altra epoca si inquadra Benedetto ix, al secolo Teofilatto
dei conti di Tuscolo, regnante tra l’ottobre del 1032 e il settembre del
1044. A lui toccò di rappresentare il segno della assoluta
mondanizzazione e strumentalizzazione del potere papale. Nella sua
complessa vicenda il Pontefice fu espulso da Roma, dove rientrò prima di
essere definitivamente sconfitto. Incerta la data di nascita e l’esatta
posizione della genitura, si può comunque dire che non fosse fanciullo
al momento dell’elezione, come sostenuto a lungo. Gli Annales Romani
riportano che nel 1044 a Roma scoppiò una rivolta contro il Papa che
venne cacciato. Subito dopo venne eletto il vescovo di Sabina Giovanni,
che prese il nome di Silvestro III, il quale dopo 49 giorni venne a sua
volta rimosso da Benedetto ix che tornò sul soglio pontificio.
In carica Benedetto ix vi rimase dal 10 marzo al 1° maggio del 1045,
quando cedette l’incarico a Giovanni Graziano, che divenne Pontefice con
il nome di Gregorio vi.
La successione era avvenuta con un meccanismo usuale, dati i tempi,
quello dell’acquisto per denaro. Anche il nuovo Papa non restò a lungo
sul soglio: sceso in Italia nell’autunno del 1046, Enrico III riunì un
concilio a Sutri, invitando i tre Pontefici che erano stati protagonisti
delle vicende degli ultimi due anni. Silvestro III non si presentò.
Gregorio vi, unico presente, riconobbe la sua colpa, pur
nell’affermazione della sua buona fede. Nemmeno Benedetto ix si presentò
e nel concilio romano immediatamente successivo, nel Natale del 1046,
fu dichiarato deposto dal nuovo Pontefice Clemente ii. Ma dopo la morte
improvvisa di Clemente, il 9 ottobre 1047, Benedetto ix riuscì a tornare
ancora sul soglio di Pietro, forte dell’appoggio di Bonifacio di
Canossa, e sfruttando la lontananza dall’Italia di Enrico III. Durò però
poco. Enrico chiese a Bonifacio di scortare a Roma il nuovo Pontefice
scelto da lui stesso, Poppone di Bressanone che assunse il nome di
Damaso ii. Dopo un’iniziale riluttanza Bonifacio dovette cedere alle
minacce del sovrano e accompagnò a malincuore il Papa germanico nella
città eterna, determinando l’allontanamento definitivo di Benedetto ix,
che si rifugiò tra i castelli della Sabina. Qui Teofilatto continuò a
considerarsi in carica in uno sdegnoso ritiro.
Dopo il caso di Celestino v del quale scriviamo in questa pagina, si
arriva così all’ultimo Pontefice che lasciò il soglio di Pietro. Angelo
Correr, figlio del patrizio veneziano Nicolò di Pietro, Papa dal 1406 al
1415 con il nome di Gregorio XII, dimettendosi da vicario di Pietro (ma
su richiesta del concilio di Costanza) cercò di avviare verso la
soluzione un groviglio di problemi straordinariamente complesso: anni di
lotte e di contese giuridiche, belliche e diplomatiche con gli antipapi
Benedetto XIII, espressione della fazione avignonese, e Giovanni XXIII
(nome che verrà poi riutilizzato da Papa Roncalli) durante lo scisma
d’Occidente.
Nel marzo 1415 aveva nominato Carlo Malatesta suo procuratore,
delegando nel contempo propri rappresentanti con la potestà di convocare
a suo nome il concilio. Se l’assemblea conciliare avesse accettato tale
procedura Gregorio sarebbe apparso come l’unico Papa legittimo; si
trattava di un riconoscimento formale, ma importante. Il concilio
ritenne comunque opportuno accogliere la richiesta, destinata a spianare
la via all’unità. Così il 4 luglio 1415 il cardinale Dominici lesse la
bolla di convocazione del concilio, dopodiché il Malatesta dette
l’annuncio ufficiale dell’abdicazione di Gregorio XII. Il concilio aveva
deciso di conferire a Gregorio XII il titolo di cardinale vescovo di
Porto con il primo rango dopo il Papa e la nomina vitalizia di legato
per la Marca di Ancona. Di quanto era avvenuto a Costanza il 4 luglio
1415 ebbe notizia il 19 luglio e il giorno seguente, nell’ultimo
concistoro che volle convocare, si spogliò dei simboli del potere papale
rivestendo l’abito cardinalizio. Dal gennaio 1416, tornato Angelo
Correr, visse a Recanati dove si spense il 18 ottobre 1417. L’11
novembre di quello stesso anno, con l’elezione di Oddone Colonna che
assunse il nome di Martino v, il grande scisma era definitivamente
riassorbito.
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