Un'occasione per riflettere... per trattare, in una conferenza, quei problemi dei quali nessuno vuole o può parlare... E' stata quella della celebrazione del cinquantesimo anniversario dell'Associazione sportiva K2 alla quale hanno partecipato al'Hiroshima Mon Amour di Torino, lo scorso 27 settembre, gli illustri relatori sotto citati, dei quali abbiamo sintetizzato l'intervento.
Anche la III gamma del Liceo Alfieri ha preso parte all'evento.
Sintesi degli interventi
a cura del prof. Andrea Mello
Sandro Donati
Ex preparatore della squadra italiana di atletica e collaboratore del Coni, isolato a causa della sua determinazione nel rivelare realtà scottanti nella realtà italiana (ad esempio, il cosiddetto "doping di stato" a Ferrara) e poi costretto a lasciare anzitempo il lavoro col pretesto di un precoce pensionamento. Attualmente responsabile delle attività sportive per l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti.
Donati ha iniziato il proprio intervento con una ricostruzione della nascita dello sport moderno, “inventato” nella seconda metà dell’Ottocento da uomini adulti e competitivi per svago ma anche per mettere alla prova le proprie qualità atletiche e agonistiche e ben presto riconosciuto anche dai vertici militari come un eccellente strumento per tenere in allenamento i soldati e forgiarne il carattere.
Il problema si è posto man mano che la pratica sportiva, nel corso del Novecento, ha riguardato un numero sempre più cospicuo di persone, e, in modo particolare, di bambini. Con quest’allargamento della base di praticanti, si è iniziata a far strada una seconda e diversa accezione della pratica sportiva: non pratica agonistica fine a se stessa, ma veicolo di valori positivi per la persona: rispetto dell’avversario, pratica della solidarietà di squadra, gusto del gioco e della competizione corretta, espressione armoniosa e completa delle proprie potenzialità fisiche e mentali ecc.
Lo sport, pertanto, ha acquisito una sorta di doppia identità: quella “idealistica” incentrata sulla persona e quella, di matrice ottocentesca, ossessionata dall’agonismo e dal risultato.
Detto ciò Donati ha avanzato la propria tesi: delle due accezioni di sport quella largamente maggioritaria e predominante negli ultimi decenni è stata quella ultra-agonistica, sempre protesa a nuovi e più sbalorditivi primati nonché in grado di fornire uno spettacolo appetibile per il mercato ricchissimo dei diritti televisivi. E questo allo stesso modo nelle dittature più o meno totalitarie e nei paesi con istituzioni e tradizioni democratiche.
L’altra concezione, quella “idealistica” o “umanistica”, è risultata sempre più marginalizzata, perfino in quegli ambiti, come lo sport per bambini e quello cosiddetto “amatoriale”, dove sarebbe estremamente opportuno mantenere un atteggiamento ludico e formativo e dove l’eccessiva specializzazione produce guasti molto maggiori dei benefici.
Secondo il relatore, pertanto, si pone come urgente un ripensamento radicale quantomeno dello sport per bambini al fine di formare una nuova leva di formatori-allenatori che sappiano educare la persona prima ancora che il futuro atleta.
La proposta di Donati è quella, pertanto, di una nuova confederazione dello sport giovanile basata sulla scuola, su associazioni sportive che abbiano un approccio globale e non solo specialistico alla pratica sportiva e sulle amministrazioni locali.
Alfredo Trentalange
Arbitro di calcio. Appartenente alla Sezione AIA di Torino, fece il suo debutto in serie A nel 1989. Nel 1993 venne promosso arbitro internazionale dall'allora designatore Paolo Casarin. Nel 1997 ricevette il prestigioso premio Mauro, massimo riconoscimento per i direttori di gara italiani; ha anche collezionato diverse apparizioni nella UEFA Champions League. Ha arbitrato in tutto 197 partite nella massima divisione. Di professione educatore (laurea in Scienze Motorie), è attualmente componente del Comitato Nazionale dell'AIA, e contemporaneamente ricopre il ruolo di osservatore degli arbitri UEFA. Dalla primavera del 2008 è insegnante presso le scuole salesiane "Edoardo Agnelli", dove insegna religione. Fondatore dell'associazione di volontariato A.G.A.P.E che si occupa di persone con disagi psichici.
Trentalange si è innanzitutto soffermato sul significato della figura dell’arbitro e su quanto questa rappresenti, anche fisicamente, il principio del rispetto delle regole e quindi anche della giustizia. Arbitrare un incontro, infatti, per Trentalange non è altro che far affermare un principio di perequazione, per cui chi è vittima di una scorrettezza o di una prepotenza, si vede risarcito e posto in una situazione di parità. Ha ricordato poi i propri trascorsi di arbitro di calcio, cercando in questi alcuni esempi del principio secondo il quale tutti sbagliano e tutti devono avere il diritto di sbagliare. Ha passato in rassegna ad esempio alcuni propri grossolani errori, dovuti in particolare a scarsa conoscenza della cultura di provenienza di alcuni calciatori, di cui ha talvolta totalmente travisato gli atteggiamenti.
Ha chiuso il proprio intervento citando il pessimo esempio fornito dai genitori ai propri figli per quanto riguarda fair play ed il senso di equilibrio e chiedendosi, in modo un po’ provocatorio, se non sarebbe opportuno che fossero proprio i più piccoli ad educare gli “adulti”.
Don Luigi Ciotti
Emigra con la famiglia da Pieve di Cadore a Torino nel 1950. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti è editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici, inoltre scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti ed interviene su testate locali.
Viene ordinato sacerdote nel 1972 dal cardinale Michele Pellegrino, che come parrocchia gli affida la strada.
Il suo impegno pubblico inizia nel 1966 con la creazione del "Gruppo Abele", organizzazione che opera all'interno delle carceri minorili ed aiuta le vittime della droga; sedici anni dopo, nel 1982, viene costituito il coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, il CNCA, e nel 1986 Ciotti diventa il primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (LILA), fondata da Franco Grillini ed altri solo un anno prima.
Nel febbraio 1993 pubblica il primo numero del mensile "Narcomafie" e il 25 marzo 1995 fonda "Libera", una rete di organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia.
Il 1 luglio 1998 riceve a Bologna, su proposta del consiglio della facoltà di Scienze della formazione, la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione, che egli considera come un grande premio per lo sforzo compiuto da tutto il Gruppo Abele nel corso degli anni.
Personalità molto influente nel campo religioso e sociale, Don Ciotti è autore di alcuni libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale, Genitori, figli e droga, scritto in collaborazione con Vaccaro, e Chi ha paura delle mele marce?.
Il 23 giugno 2007 ha ricevuto il "Premio speciale San Bernardo" per l'impegno nel sociale.
Don Ciotti ha basato la sua lunga e appassionata relazione sul concetto di etica come “ambito dell’autenticamente umano”, ambito incentrato in modo particolare sul principio di responsabilità o meglio ancora di corresponsabilità degli uni verso gli altri.
Ha rievocato il proprio apostolato compiuto nelle carceri e nelle strade di Torino, mostrando come lo sport abbia consentito a tanti emarginati ed esclusi di sentirsi, magari per la prima volta, apprezzati per le proprie qualità.
Ha ricordato ad esempio alcune rocambolesche partite di calcio giocate entro il perimetro angusto delle prigioni, non solo dai detenuti scesi in campo ma anche da tutti gli altri che seguivano con trasporto dalle finestre delle celle.
Forte di una pluridecennale esperienza nel campo delle dipendenze, ha messo in guardia contro nuove forme di disagio, magari impreviste se non imprevedibili negli anni Sessanta, quando dette inizio all’esperienza del “gruppo Abele”: la dipendenza dal consumo per esempio, o quella da Internet. E in questa lotta a vecchie e nuove dipendenze e fragilità ha sottolineato come lo sport possa costituire, se inteso nella maniera corretta, un valido antidoto. Ha ricordato con forza (citando Bobbio) che la democrazia non è fatta solo di buone leggi ma anche di buoni costumi e che questo viene troppo spesso dimenticato da coloro che spingono in modo poco perspicace per l’attuazione di ricette repressive e trascurano invece le politiche contrasto alle radici del disagio (“negli ultimi tempi è cresciuto troppo lo stato penale e troppo poco lo stato sociale”).
Ex preparatore della squadra italiana di atletica e collaboratore del Coni, isolato a causa della sua determinazione nel rivelare realtà scottanti nella realtà italiana (ad esempio, il cosiddetto "doping di stato" a Ferrara) e poi costretto a lasciare anzitempo il lavoro col pretesto di un precoce pensionamento. Attualmente responsabile delle attività sportive per l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti.
Donati ha iniziato il proprio intervento con una ricostruzione della nascita dello sport moderno, “inventato” nella seconda metà dell’Ottocento da uomini adulti e competitivi per svago ma anche per mettere alla prova le proprie qualità atletiche e agonistiche e ben presto riconosciuto anche dai vertici militari come un eccellente strumento per tenere in allenamento i soldati e forgiarne il carattere.
Il problema si è posto man mano che la pratica sportiva, nel corso del Novecento, ha riguardato un numero sempre più cospicuo di persone, e, in modo particolare, di bambini. Con quest’allargamento della base di praticanti, si è iniziata a far strada una seconda e diversa accezione della pratica sportiva: non pratica agonistica fine a se stessa, ma veicolo di valori positivi per la persona: rispetto dell’avversario, pratica della solidarietà di squadra, gusto del gioco e della competizione corretta, espressione armoniosa e completa delle proprie potenzialità fisiche e mentali ecc.
Lo sport, pertanto, ha acquisito una sorta di doppia identità: quella “idealistica” incentrata sulla persona e quella, di matrice ottocentesca, ossessionata dall’agonismo e dal risultato.
Detto ciò Donati ha avanzato la propria tesi: delle due accezioni di sport quella largamente maggioritaria e predominante negli ultimi decenni è stata quella ultra-agonistica, sempre protesa a nuovi e più sbalorditivi primati nonché in grado di fornire uno spettacolo appetibile per il mercato ricchissimo dei diritti televisivi. E questo allo stesso modo nelle dittature più o meno totalitarie e nei paesi con istituzioni e tradizioni democratiche.
L’altra concezione, quella “idealistica” o “umanistica”, è risultata sempre più marginalizzata, perfino in quegli ambiti, come lo sport per bambini e quello cosiddetto “amatoriale”, dove sarebbe estremamente opportuno mantenere un atteggiamento ludico e formativo e dove l’eccessiva specializzazione produce guasti molto maggiori dei benefici.
Secondo il relatore, pertanto, si pone come urgente un ripensamento radicale quantomeno dello sport per bambini al fine di formare una nuova leva di formatori-allenatori che sappiano educare la persona prima ancora che il futuro atleta.
La proposta di Donati è quella, pertanto, di una nuova confederazione dello sport giovanile basata sulla scuola, su associazioni sportive che abbiano un approccio globale e non solo specialistico alla pratica sportiva e sulle amministrazioni locali.
Alfredo Trentalange
Arbitro di calcio. Appartenente alla Sezione AIA di Torino, fece il suo debutto in serie A nel 1989. Nel 1993 venne promosso arbitro internazionale dall'allora designatore Paolo Casarin. Nel 1997 ricevette il prestigioso premio Mauro, massimo riconoscimento per i direttori di gara italiani; ha anche collezionato diverse apparizioni nella UEFA Champions League. Ha arbitrato in tutto 197 partite nella massima divisione. Di professione educatore (laurea in Scienze Motorie), è attualmente componente del Comitato Nazionale dell'AIA, e contemporaneamente ricopre il ruolo di osservatore degli arbitri UEFA. Dalla primavera del 2008 è insegnante presso le scuole salesiane "Edoardo Agnelli", dove insegna religione. Fondatore dell'associazione di volontariato A.G.A.P.E che si occupa di persone con disagi psichici.
Trentalange si è innanzitutto soffermato sul significato della figura dell’arbitro e su quanto questa rappresenti, anche fisicamente, il principio del rispetto delle regole e quindi anche della giustizia. Arbitrare un incontro, infatti, per Trentalange non è altro che far affermare un principio di perequazione, per cui chi è vittima di una scorrettezza o di una prepotenza, si vede risarcito e posto in una situazione di parità. Ha ricordato poi i propri trascorsi di arbitro di calcio, cercando in questi alcuni esempi del principio secondo il quale tutti sbagliano e tutti devono avere il diritto di sbagliare. Ha passato in rassegna ad esempio alcuni propri grossolani errori, dovuti in particolare a scarsa conoscenza della cultura di provenienza di alcuni calciatori, di cui ha talvolta totalmente travisato gli atteggiamenti.
Ha chiuso il proprio intervento citando il pessimo esempio fornito dai genitori ai propri figli per quanto riguarda fair play ed il senso di equilibrio e chiedendosi, in modo un po’ provocatorio, se non sarebbe opportuno che fossero proprio i più piccoli ad educare gli “adulti”.
Don Luigi Ciotti
Emigra con la famiglia da Pieve di Cadore a Torino nel 1950. Giornalista pubblicista dal 1988, Ciotti è editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici, inoltre scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti ed interviene su testate locali.
Viene ordinato sacerdote nel 1972 dal cardinale Michele Pellegrino, che come parrocchia gli affida la strada.
Il suo impegno pubblico inizia nel 1966 con la creazione del "Gruppo Abele", organizzazione che opera all'interno delle carceri minorili ed aiuta le vittime della droga; sedici anni dopo, nel 1982, viene costituito il coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, il CNCA, e nel 1986 Ciotti diventa il primo presidente della Lega italiana per la lotta contro l'Aids (LILA), fondata da Franco Grillini ed altri solo un anno prima.
Nel febbraio 1993 pubblica il primo numero del mensile "Narcomafie" e il 25 marzo 1995 fonda "Libera", una rete di organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia.
Il 1 luglio 1998 riceve a Bologna, su proposta del consiglio della facoltà di Scienze della formazione, la laurea honoris causa in Scienze dell'educazione, che egli considera come un grande premio per lo sforzo compiuto da tutto il Gruppo Abele nel corso degli anni.
Personalità molto influente nel campo religioso e sociale, Don Ciotti è autore di alcuni libri a carattere educativo, di impegno sociale, di riflessione spirituale, Genitori, figli e droga, scritto in collaborazione con Vaccaro, e Chi ha paura delle mele marce?.
Il 23 giugno 2007 ha ricevuto il "Premio speciale San Bernardo" per l'impegno nel sociale.
Don Ciotti ha basato la sua lunga e appassionata relazione sul concetto di etica come “ambito dell’autenticamente umano”, ambito incentrato in modo particolare sul principio di responsabilità o meglio ancora di corresponsabilità degli uni verso gli altri.
Ha rievocato il proprio apostolato compiuto nelle carceri e nelle strade di Torino, mostrando come lo sport abbia consentito a tanti emarginati ed esclusi di sentirsi, magari per la prima volta, apprezzati per le proprie qualità.
Ha ricordato ad esempio alcune rocambolesche partite di calcio giocate entro il perimetro angusto delle prigioni, non solo dai detenuti scesi in campo ma anche da tutti gli altri che seguivano con trasporto dalle finestre delle celle.
Forte di una pluridecennale esperienza nel campo delle dipendenze, ha messo in guardia contro nuove forme di disagio, magari impreviste se non imprevedibili negli anni Sessanta, quando dette inizio all’esperienza del “gruppo Abele”: la dipendenza dal consumo per esempio, o quella da Internet. E in questa lotta a vecchie e nuove dipendenze e fragilità ha sottolineato come lo sport possa costituire, se inteso nella maniera corretta, un valido antidoto. Ha ricordato con forza (citando Bobbio) che la democrazia non è fatta solo di buone leggi ma anche di buoni costumi e che questo viene troppo spesso dimenticato da coloro che spingono in modo poco perspicace per l’attuazione di ricette repressive e trascurano invece le politiche contrasto alle radici del disagio (“negli ultimi tempi è cresciuto troppo lo stato penale e troppo poco lo stato sociale”).
Nessun commento:
Posta un commento