Al Quintiliano una fiumana di studenti e professori torinesi convenuta da Palazzo Nuovo, dal Politecnico, dall'Alfieri, dal Grassi, dal Giusti, dal Majorana, dal Regina, su proposta del prof. Roberto Lupis, per vedere insieme e sentire in lingua originale, su proposta del prof. Dario Coppola (anche se avremmo preferito lo spagnolo all'inglese, decisamente più adatto a un film di Amenábar) - IPAZIA!
Agora
Un film di Alejandro Amenábar. Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael Lonsdale. Avventura, durata 128 min. - Spagna 2009.
Amenábar sceglie la via del "peplum post litteram" in cui tutto è palesemente finto
di Giancarlo Zappoli (mymovies)
Alessandria d'Egitto. Seconda metà del IV secolo dopo Cristo. La città in cui convivono cristiani, pagani ed ebrei è anche un vivo centro di ricerca scientifica. Vi spicca, per acume e spirito di indagine, la giovane Ipazia, figlia del filosofo e geometra Teone. Ipazia tiene anche una scuola in cui l'allievo Oreste cerca di attirare la sua attenzione. C'è però anche un giovane schiavo, Davus, attratto dalla sua bellezza e dalla sua cultura. Col trascorrere degli anni la tensione tra gli aderenti alle diverse religioni diviene sempre più palese e finisce col divampare vedendo il prevalere dei cristiani i quali godono ormai della compiacenza di Roma (anche se non di quella di Oreste divenuto prefetto). Guidati dal vescovo Cirillo e avvalendosi del braccio armato costituito dai fanatici monaci parabalani, i cristiani riescono ad annullare la presenza delle altre forme di religione e intendono regolare i conti con il pensiero che oggi definiremmo 'laico' di Ipazia.
Ci sono fasi della storia del cattolicesimo che sono rimaste nell'ombra e sicuramente quella della presa di potere da parte dei cristiani di Alessandria, guidati da un vescovo autoritario e violento salito anche all'onore degli altari, appartiene al versante di cui non è il caso di andare fieri e neppure di cercare alibi in una diversa sensibilità rispetto al passato remoto. Il cinema, quando gliene viene offerta l'opportunità, fa bene a fare luce anche su questi aspetti. Se si prende delle licenze narrative può anche essere giustificato da esigenze di trasposizione. Quella che però non può essere in alcun modo apprezzata è la scelta linguistica adottata in questa occasione da un pur apprezzato regista quale è Alejandro Amenábar.
Dinanzi a una tematica così complessa il regista spagnolo sceglie la via del "peplum post litteram" in cui tutto è palesemente finto e si finisce con l'attendere il Maciste di turno che faccia crollare le colonne di gommapiuma del lontano passato di Cinecittà. L'eroina è proprio bella (e muore nuda), i cattivi sono cattivi che più non si può (e sono tutti dalla parte dei cristiani) e non c'è costume a cui manchi il cartellino della tintoria. Se ci si aggiunge qualche lezioncina sull'astronomia del tempo e qualche scontro armato dilatato per fare metraggio si raggiunge la durata giusta per un passaggio televisivo in due parti. Ma ci sono miniserie tv come Empire che hanno meno pretese e una resa perlomeno uguale.
Riportiamo da LA STAMPA del 23.04.10 anche un'autorevole recensione più benevola (e da noi più condivisa):
Nei film sul mondo antico quasi sempre i cristiani sono vittime miti, piangenti in preghiera, clandestini tremebondi. Agora di Alejandro Amenábar capovolge questa immagine, i cristiani del quarto secolo dopo Cristo ad Alessandria d'Egitto sono anche fanatici violenti ragguppati in squadracce, ceffi oscuri e crudeli che fanno il peggio: bruciano vive le persone, le malmenano al grido "Il Signore è con noi", perseguitano brutalmente i non cristiani e gli ebrei "macellai di Nostro Signore"; assediano, invadono la seconda Biblioteca di Alessandria bruciando i rotoli della sapienza, abbattono le statue scandendo "Alleluja", costringono i militari a farsi battezzare, lapidano, decapitano, alzano roghi di cadaveri. Contrasta con simile canaglia la protagonista del film interpretata molto bene da Rachel Weisz: Ipazia, giovane donna sapiente, figlia del rettore della Biblioteca, maestra di discepoli, filosofa della razionalità, matematica, astronoma stimatissima che vive l'amicizia ma rifiuta l'amore di uno schiavo divenuto cristiano per fede, del prefetto della città divenuto cristiano per opportunismo e necessità. Ipazia viene attaccata pubblicamente dal capo dei cristiani con l'accusa anacronistica di stregoneria e fa una morte atroce squartata viva: parti del suo corpo vennero messe in mostra in città, come monito per gli scienziati della ragione e per gli infedeli (il film non illustra questa fine).
Si capisce che il regista (cileno per nascita e spagnolo per attività), già autore di Mare Dentro e The Others ha inteso mettere a confronto l'intolleranza sanguinaria delle religioni (anche attuali) nei periodi in cui lottano per conquistare o conservare il potere temporale e l'unanimità dei consensi, e la coraggiosa nobile calma della cultura. Le alterazioni storiche, come è ovvio in un film, non sono poche, ma il contrasto è raccontato efficacemente. L'ambientazione è molto accurata (i costumi sono ideati da Gabriella Pescucci); risulta una buona idea quella di imitare ad alto livello lo stile dei kolossal greco-romani dei Cinquanta. Così il film su temi nuovi e non facili scorre fuido e interessante una buona fiction televisiva; Agora è senz'altro riuscito.
Lietta Tornabuoni
I due amanti di Ipazia, l'uomo di fede (realmente schiavo) e l'uomo di potere (apparentemente padrone), possono essere rappresentati dai due fuochi di quell'ellisse che campeggia nella narrazione filmica: l'ellisse è la terra stessa e, soltanto da un punto di vista statico, può apparirci come una circonferenza, ossia una particolare forma di ellisse. Questo è l'ellisse che, per tanto tempo, Ipazia aveva studiato, precedendo di millenni le scoperte scientifiche rivelatesi poi esatte; lo stesso ellisse che, nell'opera di Amenábar, Ipazia osserva sino alla sua fine, prima di essere scorticata viva... momento nel quale quell'ellisse si vedrà da un'altra angolazione, dall'alto dei cieli stellati: quell'ellisse è partorito dalla ragione umana, e finisce col coincidere con la stessa madre terra e, alla fine, con la stessa Ipazia.
dcop
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