Ormai da mesi il Bacino del Mediterraneo sta vivendo una situazione a dir poco infuocata che ha travolto praticamente quasi tutti i governi/regimi che ne fanno parte, e che sta dimostrando come gli equilibri geopolitici mondiali stanno mutando radicalmente.
Tutto è cominciato all'inizio dell'anno 2011 con le rivolte in Tunisia ed Egitto che hanno portato al crollo dei regimi di Ben Ali
e Mubarak,
regimi dichiaratamente filo-occidentali ("moderati" come direbbero gli USA) e dietro ai quali sicuramente non ci sono solo i moventi della fame e della povertà che caratterizzano questi paesi, ma sopratutto c'è lo zampino di una superpotenza mondiale, il che fa pensare alla Cina.
Perché si pensa che dietro a queste rivolte ci sia la Cina e non gli Stati Uniti, come potrebbero pensare molti?
Le motivazioni sono molte: perché la Cina, a differenza degli USA, ha a disposizione delle riserve finanziarie immense per finanziare guerre e golpe in giro per il mondo, cosa che invece gli USA non hanno visto l'elevato debito pubblico americano e considerato anche che la Cina negli ultimi anni ha comprato praticamente tutto il debito pubblico della potenza a stelle e strisce;

inoltre gli USA non avrebbero potuto avere alcun interesse a rovesciare tali "regimi amici" sapendo di correre il rischio di veder poi sorgere in questi paesi dei nuovi regimi guidati dai movimenti fondamentalisti islamici che, tra gli obbiettivi primari, hanno quello di dichiarare guerra allo Stato d'Israele (fedele alleato USA) che si trova praticamente a due passi dal Nord Africa e la cui supremazia sul Medio Oriente è notevole;
infine, un'altra motivazione è quella che vede al confronto politico il governo di Washington e quello di Pechino; l'amministrazione Obama
negli USA è tra le più deboli della storia americana (specie dopo le elezioni del Congresso tenutesi ad ottobre, in cui Obama ha perso la maggioranza), mentre il governo cinese capeggiato da Hu Jintao
è tra i governi più forti del momento a livello mondiale considerata anche il boom (politico,economico e finanziario) della potenza cinese: la prova della supremazia cinese nei confronti degli USA la si è potuta notare durante l'ultimo incontro tra Obama e Hu Jintao tenutosi a Washington a gennaio 2011 in cui il leader cinese si è praticamente preso gioco di Obama e quest'ultimo è stato costretto a subire in silenzio.
Le motivazioni citate finora dimostrano chiaramente come dietro alle rivolte della Tunisia e dell'Egitto sia la Cina a trarne beneficio mentre invece la potenza americana, insieme ai suoi alleati, è ormai prossima ad un inesorabile declino.
L'unica rivolta popolare dei paesi mediorientali, per la quale si può dire che dietro vi sia veramente la potenza americana, e da cui essi stanno cercando di trarre beneficio, è quella che da qualche settimana vede coinvolta la Siria
in cui, rovesciando il regime di Assad e favorendo l'ascesa al potere di qualcun altro, gli USA stanno cercando di crearsi un nuovo regime satellite che sostituisca l'ormai decaduto Mubarak e che quindi collabori con lo Stato d'Israele il quale, non potendo più contare su Mubarak, necessita di un nuovo regime alleato nella zona del Medio Oriente.

In riferimento alla situazione in Libia, la vicenda si fa più densa e complicata, in quanto il regime di Gheddafi, a differenza di Ben Ali e Mubarak, non è mai stato sostenuto dagli americani e in quanto in Libia si esclude lo zampino della Cina. La questione libica è quella che riguarda più da vicino l'Italia considerate le vicende degli ultimi anni sugli incontri tra Berlusconi e Gheddafi.
Non ci vuole un genio per capire che sulla questione libica l'Italia si sta facendo mettere i piedi in testa dagli USA, dalla Francia e dalla Gran Bretagna, a giocare a nostro sfavore c'è anche una politica estera alquanto scadente da parte del nostro governo, in quanto l'Italia ha temporeggiato fin troppo e non ha agito quando era il momento cioè prima che l'ONU prendesse la decisione di autorizzare la missione militare da parte della NATO.
L'emergenza sbarchi a Lampedusa era prevedibile,
tant'è vero che Maroni qualche settimana fa si era rivolto a Bruxelles chiedendo di cooperare per l'accoglienza dei profughi ed un eventuale respingimento dei clandestini,
ma da Bruxelles la risposta è stata uno schietto "Fatti vostri!"; di fronte a tale risposta un governo serio avrebbe intuito il tentativo, da parte di alcune forze dell'Unione Europea, di tagliare fuori l'Italia dalla questione libica: infatti l'Italia avrebbe dovuto, senza intraprendere una politica coloniale, mandare il proprio esercito in Libia a difendere i pozzi di petrolio e il gasdotto ottenuti dagli accordi commerciali con Gheddafi e che sono stati siglati dalla multinazionale energetica italiana, l'ENI.
Invece così facendo l'Italia ha subìto in silenzio le reazioni di Bruxelles dando il tempo alle altre forze della NATO di organizzarsi e soprattutto dando la possibilità allo scaltrissimo presidente francese Sarkozy di prendersi la leadership della coalizione NATO per capitanare, insieme agli USA, l'operazione bellica in Libia;
in questo modo l'Italia resterà solamente a guardare mentre gli USA e la Francia si prenderanno buona parte della torta (vale a dire: gli approvvigionamenti di gas e petrolio).
Infatti, come ha puntualmente precisato Maurizio Crozza qualche settimana fa nella copertina di Ballarò: " In Libia ci si potrà spartire un bottino di guerra consistente, ai francesi il petrolio, agli americani il gas e a noi i profughi."
Sarkozy, guidando l'operazione bellica con la sua scaltrezza, sta cercando di far ottenere alle due grandi aziende energetiche francesi (la Total per il petrolio e la Gaz de France per il gas) dei grandi approvvigionamenti energetici per poi ricavarne numerosi consensi elettorali in vista della elezioni presidenziali del prossimo anno e nel tentativo di rlanciare il proprio mandato presidenziale finora deludente; inoltre, l'altro fine di Sarkozy potrebbe essere quello di far diventare la Francia il principale alleato europeo degli Stati Uniti per ottenere così la leadership dell'Unione Europea e della NATO approfittando anche della crisi economica e del declino internazionale dell'altro alleato europeo degli americani, ossia, la Gran Bretagna.

Per concludere, non è difficile prevedere che l'Italia uscirà dalla situazione del Nord Africa completamente a pezzi, visto e considerato che perderemo (o meglio "ci faremo soffiare") il gas e il petrolio a beneficio della Francia e degli Stati Uniti; ricordiamo che siamo l'unico paese dell'Unione Europea che in questi giorni si sta vedendo arrivare i barconi di profughi e clandestini in quanto la Francia, dove dovrebbero e vorrebbero stabilirsi molti profughi di madre lingua francese, ha chiuso tutte le frontiere infischiandosene altamente degli Accordi di Schengen (accordi che stabiliscono l'abbattimento di tutte le frontiere tra i paesi aderenti all'Unione Europea) a dimostrazione di quanto le norme comunitarie dell'UE siano una bufala.


L'Italia non può respingere i barconi in quanto ciò comporterebbe una violazione delle norme comunitarie; ma allora se queste norme comunitarie esistono e vanno rispettate perché la Francia ha potuto chiudere le frontiere, violando gli accordi di Schengen, e respingere tutti i profughi che venivano intercettati al confine con l'Italia che tentavano di entrare in Francia?
A giudicare dalla situazione attuale non ci va molto per capire che l'Unione Europea,
con la complicità della Banca Centrale Europea
e del Fondo Monetario Internazionale,
vogliono privare l'Italia delle risorse energetiche e riempirla di barconi di profughi per indebolirne l'economia e il sistema in generale (il cosiddetto "sistema-Italia") con l'intenzione di far finire l'Italia nella morsa della speculazione internazionale, facendoci fare la fine di paesi come la Grecia, l'Irlanda, la Spagna e il Portogallo per completare così l'acronimo PIIGS
(Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), che comprende i paesi europei presi di mira dalle bande di speculatori internazionali dopo lo scoppio della crisi finanziaria degli ultimi anni.
Ario Corapi,
Università degli Studi di Torino,
Facoltà di Scienze Politiche