SANTUCHO E IL POPOLOimmagini tratte da http://www.elortiba.org/prt.htmlSantucho
diceva che, poiché è l’unica classe sociale che non ha interesse
materiale nel sostenere il capitalismo, la classe operaia è la sola
capace di formulare scientificamente il suo progetto sociale per la
modificazione totale del sistema, e di combattere, conseguentemente, per
il trionfo di questo progetto: il socialismo.

In
una parola sola, la classe operaia deve conquistare la DIRIGENZA
POLITICA della rivoluzione e dotarsi degli strumenti necessari per
farlo; lo strumento fondamentale, storicamente insostituibile, è il
partito proletario rivoluzionario.
Certamente la rivoluzione non
potrà trionfare in Argentina, e in nessun altro paese, senza un’alleanza
tra le classi più oppresse e disagiate, senza aver scelto una dirigenza
motivata e capace e, soprattutto, senza una forza armata che le possa
permettere di combattere il nemico.
Deve essere un partito proletario
perché la classe operaia è l’unica classe rivoluzionaria, perché i suoi
interessi sono inconciliabili con quelli delle classi dominanti; non
vuol dire che questa deve essere formata solo da operai, anzi, ne fanno
parte studenti, contadini, liberi professionisti… ecc, ma è anche
necessario che questi adottino lo stile di vita proletario, perché
facendo così, vivendo come operai, potranno abbandonare il modo di fare e
di pensare della classe sociale di appartenenza.
Questo partito
rivoluzionario dovrà essere composto da professionisti della
rivoluzione, da uomini e donne che facciano dell’attività rivoluzionaria
la cosa più importante della loro vita, che dedichino alla rivoluzione
tutti i loro sforzi, tutte le ore della loro vita… la loro stessa vita.
La
disciplina più ferrea dovrà governare il partito rivoluzionario, per
garantire una unità monolitica, requisito fondamentale per poter
affrontare e sconfiggere la repressione ed i molti attacchi della classe
nemica. Il partito rivoluzionario abbraccia

l’ideologia
del proletariato, del marxismo-leninismo, interpretazione secondo la
quale la lotta di classe è il motore dello sviluppo dell’umanità, lotta
di classe che nella nostra società capitalistica si manifesta come lotta
del proletariato contro la borghesia, con la quale, il proletariato
sconfiggerà il potere borghese per costruire una società più giusta, la
società socialista.
Preme qui sottolineare che per Robi e per il
PRT la politica costruita sulle alleanze era collocata al centro della
strategia per il potere, proprio perché fondamentale per la costruzione
del partito; Il partito si costruisce e si sviluppa con la lotta e solo
con essa si amplia.
Per i militanti era impossibile immaginare che il
partito potesse acquistare forze lasciando fuori le masse; il partito
si costruiva sommando le forze e le esperienze, imprimendo una direzione
politica alla lotta, interagendo con tutte le forze che erano parte o
appoggiavano il movimento di massa. Il PRT indirizzava i suoi sforzi
verso la classe operaia e, da questa, attraverso un processo di
mobilitazione democratica e antimperialista, intendeva rivolgere la sua
politica a tutto il popolo.
Verso la fine del 1974 si registra un
salto qualitativo della repressione: i servizi di Intelligence delle
forze armate inaugurano la politica del “secuestro-desaparicion”; prima a
Tucuman, poi in tutto il paese. Nel 1975 il governo di Isabel Peron
decide di intervenire direttamente per soffocare la guerriglia rurale.
Fino
al settembre 1975 le operazioni erano dirette solamente contro la
popolazione e non contro la guerriglia; tutti i morti e i “desapa

recidos”
di questo periodo appartenevano al popolo accusato, con o senza
fondamento, di aver appoggiato l’ERP. Si stava attuando la tattica già
sperimentata in Vietnam e in altre parti del mondo, per adesso non
interessava la guerriglia; il nemico era il popolo che l’appoggiava.
Nel
1975 si registrò l’indice annuale di scioperi più alto di tutta la
storia argentina, e uno tra i più alti che si fosse mai registrato nel
mondo; lo sciopero generale di luglio fu il risultato delle misure
economiche adottate dal ministro Rodrigo, e la protesta che ne seguì
venne denominata “Rodrigazo”; in seguito a ciò Lopez Rega si dimise.
Il
progetto sembrava realizzato: il PRT e altre organizzazioni di sinistra
erano riuscite nell’intento di unire le forze per una causa comune e
contro un nemico comune, la classe operaia industriale, gli operai di
tutte le grandi fabbriche del paese avevano smesso di dare ascolto al
sindacalismo peronista, adesso si orientavano verso posizioni autonome,
uscivano in strada a protestare contro un governo peronista.
Alla
fine del 1975, il PRT si sentiva accerchiato. La guerriglia si stava
pian piano spegnendo, decimata e fortemente debilitata dalle operazioni
militari del governo, solo sui monti di Tucuman si continuava a
combattere e a tener testa all’esercito.
Anche nelle città la
situazione era critica, molti dei dirigenti erano stati arrestati o
uccisi, l’unità delle forze democratiche era impossibile da raggiungere.
La
debolezza non era solo dovuta alla irreparabile perdita dei quadri
preparati in anni di lotta, ma soprattutto al distacco del gruppo
dirigente dalla massa, e al non aver saputo cogliere la “verità
effettuale”.
Il 24 marzo del 1976 le forze armate co

mandate
dal generale Jorge Videla rovesciano il governo di Isabel Peron. Con il
pretesto di effettuare il Processo di Riorganizzazione Nazionale
instaurano il terrorismo di stato su grande scala.
Dichiarano lo
stato di assedio abrogando i diritti costituzionali, sospendono le
attività politiche e di associazione, chiudendo il Congresso e proibendo
i sindacati, i giornali, sequestrando gli attivisti politici ed i
sindacalisti.
Per l’Argentina si aprì così un capitolo della sua
tormentata esistenza assai più fosco di altri, denso di grandi tragedie e
sofferenze. Da allora, coloro che indistintamente venivano ritenuti
degli oppositori o sospettati di esserlo continuarono ad essere
processati, incarcerati e seviziati: ma molti di loro vennero anche
fatti sparire nell’ombra dall’oggi al domani senza che se sapesse più
nulla (di qui il fenomeno dei desaparecidos).
Si creano centri
clandestini di detenzione e tortura, e si realizza anche un perverso
sistema di appropriazione dei neonati delle detenute in stato di
gravidanza.
Uno tra gli obiettivi della dittatura militare argentina
fu quello di eliminare fisicamente la Dirección del PRT, principalmente
Santucho, come fu annunciato e confermato più volte dal governo
militare.
Il 19 luglio del 1976, a Villa Martelli a Buenos Aires,
morirono, dopo un conflitto a fuoco con i corpi speciali dell’esercito,
Mario Roberto Santucho e Benito Urteaga, furono sequestrati e sparirono
per sempre Domingo Mena, Liliana Delfino e Ana Lanzillotto de Mena.
Così la stampa riportò la notizia:
“El
Liberal” di Santiago del Estero disse: “Con la morte di Mario Roberto
Santucho, e di tre dei suoi luogotenenti, uccisi in uno scontro a fuoco
con le forze militari e di polizia, finisce l’era di una delle
organizzazioni sediziose più attive dell’America Latina”.
In Brasile “O Glob

o”
pontifica: “Finalmente l’Argentina vincerà contro il terrore e,
assicurando la pace, ritroverà un alto livello di civilizzazione
orgoglio dei suoi figli”.
A Cuba “Granma”, periodico del Comitato
centrale del Partito Comunista di Cuba riporta una notizia di agenzia in
cui parla di Santucho come un leader rivoluzionario e un capo
indiscusso.
“La Republica” di Costa Rica titola: “Risonante vittoria
contro il terrorismo argentino; da quasi tre anni era l’uomo più
ricercato del paese da quando l’ERP era stato messo fuori legge.”
A
Roma “la Repubblica” dice: “Dei tre capi storici della sinistra
rivoluzionaria che si erano uniti in una sorta di giunta sovranazionale
per seguire l’esempio di Che Guevara, due morirono in combattimento, e
solo uno , Raul Sendic, è ancora vivo in una prigione in Uruguay. Miguel
Enriquez capo militare del MIR, morì in Cile nel 1974. Ieri fu il turno
di Santucho. Tra i tre Santucho era il più incline all’azione e
l’organizzatore più capace”.
[1]Che
la si chiami dittatura, guerra sucia o stagione dei desaparecidos, il
regime che dal marzo del 1976 dominerà l’Argentina sino al 1982, ha
scritto una delle pagine più buie della storia recente dell’America
Latina. Il balletto dei generali Massera, Agosti e Videla, che
rovesciando il governo di Isabelita Perón occuperanno le stanze del
potere sino alla guerra delle Malvine, era seguito con molta attenzione
anche fuori dai confini di casa e soprattutto dagli Stati Uniti.
Nel
giugno del 1976, a pochi mesi cioè dall’arrivo al potere dei generali,
il segretario di stato americano Henry Kissinger ebbe una lunga
conversazione con il ministro degli esteri argentino Cesar Augusto
Guzzetti: “se ci sono cose da fare bisogna farle in fretta – gli disse -
ma poi bisogna anche tornare rapidamente alle normali procedure.”
[2]Kissinger
in sostanza come già ampiamente dimostrato diede luce verde al
rappresentante della dittatura. L’incontro avvenne il 10 giugno a
Santiago (Cile) in occasione del vertice Osa.
Dopo i convenevoli
Guzzetti entrò nel vivo: “ Il nostro principale problema è il terrorismo
… assicurare la sicurezza interna del paese … l’Argentina ha bisogno da
parte degli Stati Uniti di comprensione e supporto. “Abbiamo seguito le
vicende argentine da vicino. Vediamo bene il nuovo governo e vogliamo
che ce la faccia. Faremo il possibile perché ce la faccia.” Rispose
Kissinger.
[3]Le
violazioni che avevano caratterizzato i primi tre mesi della dittatura
erano dunque ben note. Ma Kissinger si dimostrò comprensivo: “Sappiamo
che siete in difficoltà … sono tempi curiosi quelli in cui attività
politiche, criminali e terroristiche tendono ad emergere senza una
chiara separazione. Capiamo che dovete stabilire un’autorità … farò quel
che posso.”
Dopo circa un mese, il 9 luglio, il principale
consigliere di Kinssinger Henry Shlaudeman, gli forniva particolari sui
sistemi applicati dagli argentini, che utilizzavano “ … il metodo cileno
… terrorizzare l’opposizione, anche a costo di uccidere preti e suore…”
Il 7 ottobre a New York, il fatto è noto da tempo, Kissinger aggiustò
il tiro con Guzzetti: “… prima avrete finito meglio sarà.”
[4]
La guerra sporca non è ancora stata descritta compiutamente. Il
rapporto della commissione nazionale dell’84 ha fornito una stima di
8.960 scomparsi tra il 1976 e il 1982. Secondo il Centro Studi per la
pace, sarebbero 30.000 gli scomparsi, oltre 500 i figli di desaparecidos
adottati, 2.000.000 gli esiliati politici. Buonos Aires contava
all’epoca 365 campi di concentramento clandestini nel ventre di una
città che, nel 1978, ospitò addirittura un mondiale di calcio.
CONCLUSIONI
Questo
tipo di guerra ha avuto successo nelle ex colonie europee in Asia e in
Africa, in America latina ha avuto un unico esito positivo: Cuba,
successo che non si ripeterà altrove proprio per il carattere
eccezionale e anomala della rivoluzione cubana, un modello assolutamente
inapplicabile agli altri paesi latinoamericani, per i suoi risvolti
romantici garibaldini per la sua fortunata ingenuità militare.
Oltre
alla indiscutibile influenza esercitata dalla rivoluzione cubana sulla
nascita di movimenti rivoluzionari latinoamericani è stato riconosciuto
un non trascurabile valore a un fattore di importanza determinante: la
crisi economica che ha colpito la maggior parte dei paesi
latinoamericani verso la fine degli anni ’50.
Non c’è un “prima” e un
“dopo”, quanto piuttosto la continuazione di processi che si erano
radicati in America Latina all’inizio del decennio Sessanta: guerriglie,
autoritarismo militarista e rivolte studentesche, ma anche un
tumultuoso sviluppo di una cultura critica ( dalla letteratura al
cinema, alle scienze sociali), percorrono in modo trasversale quasi
tutti i Paesi più importanti di quest’area.
La sconfitta del PRT,
sia da un punto di vista politico sia da quello militare, è da imputare
alla modalità con la quale esso cercò la scalata al potere e la sua
attuazione. Fu commesso un errore che si può definire di “forzatura”: si
cercò di accelerare il cammino verso la rivoluzione, quando la società
non era ancora pronta per affrontarla. La chiave della sconfitta è non
aver capito per tempo che la strategia insurrezionale perdeva vigore con
la “ normalizzazione” della situazione storica; nella complessa tappa
di apertura democratica del 1973 fino alla dura sconfitta del 1976, gli
errori politici di incomprensione e la successiva virata “militarista”,
portarono ad un cambio nel funzionamento organico che debilitò la
struttura partitica e facilitarono l’incorporazione di militanti poco
determinati nella difesa dei principi del Partito Proletario. Il
contributo di Santucho per quanto riguarda l’ideologia e la relazione
con la massa risulta eccezionale nella sua chiarezza e nella sua
applicabilità, e consiste proprio nella capacità di coinvolgere e
connettere le masse popolari con i settori rivoluzionari.
Mario
Roberto Santucho era un uomo di carne ed ossa, era un uomo del popolo
che riassumeva nel suo pensiero e nelle sue azioni i sentimenti e le
necessità di milioni di argentini e latinoamericani.
Nel superamento
delle contraddizioni e nala capacità di individuare il nemico (
qualunque esso fosse) Santucho cercò, in ogni circostanza, il modo di
unire e tenere unito il popolo. Organizzò e propose l’unità a tutti
coloro che si definivano antimperialisti ed erano disposti a costruire
una patria socialista.
Mario Roberto Santucho era il più ricercato,
il cervello indiscutibile, non era solo il massimo dirigente del PRT era
l’esempio di rivoluzionario amato e ammirato da una larga fascia della
società. Fu un autentico rivoluzionario, cioè dedicò la propria vita,
nella sua pratica quotidiana, ai valori fondamentali di una nuova
ideologia, attuando nella pratica, con coerenza totale, la teoria
l’insegnamento e l’esempio, per realizzare la costruzione dell’uomo
nuovo. Con la morte di Santucho si affermò definitivamente l’esempio
rivoluzionario che il popolo argentino ancora riconosce.
Per concludere cosa dire sul destino dell’utopia rivoluzionaria che ha commosso la storia del paese negli anni ‘60 e ‘70?
Diremo
che la storia non è stata ancora raccontata fino alla fine, e nemmeno è
stata analizzata dalla società. È una storia non finita, tronca per
diversi motivi. Resta così un’impronta che non ha ancora cancellato le
ferite e solo nel tempo e col tempo sarà possibile cogliere tutti gli
insegnamenti di quelle lotte che hanno coivolto il popolo argentino.
BIBLIOGRAFIA
- Blanca Rina Santucho, Nosotros Los Santucho, 2002, Cordoba
- Dirección del Partido Revolucionario de los Trabajadores, Historia del PRT, 1997, Editorial 19 de julio, Buenos Aires
- Mario Roberto Santucho, Poder Burgués y Poder Revolucionario, 1974, El Combatiente, Santiago del Estero
- Mario Roberto Santucho, Escritos, 1996, Editorial 19 de julio, Buenos Aires
- Julio Santucho, Los ultimos Guevaristas, 2004, Byblos, Buenos Aires
- Alain Rouquiè, L’America Latina, 2007, Mondadori, Milano
- Valerio Castronovo, Piazze e Caserme, i dilemmi dell’America Latina dal ‘900 a oggi, 2007, Laterza, Bari
- Maria Seoane, Argentina. Paese dei paradossi, 2004, Laterza, Bari
- Maria Seoane, Todo o Nada, 2003, Sudamericana, Buenos Aires
- Italo Moretti, L’Argentina non vuole più piangere, 2006, Sperling&Kupfler editori, Milano
- Ludovico Incisa di Camerana, I ragazzi del Che, storia di una rivoluzione mancata, 2007, Corbaccio, Milano
[1] http://www.argenpress.info/notaold.asp?num=032378 (26 febbraio 2008)[2] http://www.lettera22.it/showart.php?id=1721&rubrica=117 (25 febbraio 2008)[3] Vedi nota 18[4] Vedi nota 18