Il prof. Antonino D'Ambra propone la visione del film
LA
PAPESSA
Torna sullo schermo la donna che si fece monaco benedettino e poi papessa in barba alla Chiesa
Un film di
Titolo originale
Die Päpstin.
Drammatico, durata 149 min. - Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna 2009
di Marzia Gandolfi
(mymovies)
Nata nell'inverno dell'814 d.c., Johanna è la figlia indesiderata del prete del villaggio, che investe il suo tempo a istruire i figli maschi e a battere la consorte. Ostinata e decisamente illuminata, Johanna viene notata dal maestro greco Esculapio che, vincendo la ritrosia paterna, asseconda ed educa la sua sensibilità. Ma la partenza dell'anziano saggio, rigetterà la fanciulla al suo destino di donna, almeno fino a quando Johanna non si darà alla fuga, scegliendo per sé un diverso avvenire nella scuola della cattedrale di Dorstadt. Protetta dalla nobiltà del Conte Gerold, avvierà, tra gelosia e dileggio, i suoi studi. Invaghitasi di Gerold, proverà a resistere a quel sentimento votandosi ai libri e alla cultura ma la guerra e la crudeltà delle irruzioni sassoni li separeranno. Johanna, costretta a risolvere la propria sorte e indossati abito e identità maschili, troverà riparo nel monastero benedettino di Fulda, dove verrà edotta nell'arte medica e nella teologia col nome di Johannes Anglicus. La paura di essere scoperta e punita come impostore la porterà infine a Roma, dove la sua dedizione ai malati e gli incredibili successi professionali non passeranno inosservati. Condotta al talamo di Papa Sergio, afflitto dalla malattia, ne diventerà presto medico e consigliere. Scampato alla morte il Santo Padre, poi avvelenato da vescovi invisi, il monaco guaritore è destinato ad occupare il seggio di Pietro. L'incontro inaspettato con Gerold e la congiura di chi brama a deporla, lambiranno e minacceranno l'autorità spirituale del “Papa Populi”.
La Papessa è la seconda carta degli Arcani Maggiori dei Tarocchi e rappresenta la coscienza femminile opposta al principio maschile (il Bagatto). Raffigurata come una sacerdotessa o in vesti da monaco, è simbolo di sapienza e intende la conoscenza. Questa è pure l'interpretazione e la lettura che Sönke Wortmann attribuisce alla “papessa” ispirata dalle pagine del bestseller della statunitense Donna Woolfolk.
Non è certo la prima volta che il cinema si dedica a Johanna Anglicus, la donna che in barba alla misoginia integralista della Chiesa occupò la carica di Pietro e regnò presumibilmente tra Leone IV e Benedetto III. Mito o leggenda medievale, la donna che si fece monaco benedettino e poi Papa Populi fu interpretata nel 1972 dal fascino norvegese di Liv Ullman nel film di Michael Anderson. Diversi anni e pontefici maschi dopo è Johanna Wokalek a portarla sullo schermo in un film che ripropone il genere storico e la dimensione del kolossal.
Dopo l'Agorà di Amenábar, storia delle filosofa e astronoma Ipazia colpita a morte dai colpi dell'intolleranza religiosa nell'Alessandria d'Egitto del IV secolo, compete a Wortmann l'accesso di una donna illuminata alla piazza e all'arena allestita dagli uomini. L'ottica prescelta è la medesima e dispone il sesso gentile a baluardo della forza del pensiero e della conoscenza in un mondo destinato agli uomini. Padri, tutori, della legge e della religione, che guardano alla donna come una versione imperfetta dell'uomo, “naturalmente” più adatta alla riproduzione, alla cura dei figli e a una vita all'interno della casa. Niente stelle da guardare, niente libri da consultare, nessuna presenza o attività sulla scena sociale.
Il limite del film sta però nel non riuscire a trasformare in cinema le ambizioni programmate e il valore del soggetto trattato. La ricostruzione approssimativa, la sottotrama romantica, i personaggi appena abbozzati tolgono consistenza alla credibilità del racconto e all'esistenza di una donna pontefice compromessa dal “capitano di Gondor” di David Wenham e omessa (presumibilmente?) dalle registrazioni storiche.
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UN RINGRAZIAMENTO A TUTTI PER QUESTO SPLENDIDO ANNO SOCIALE 2009-10
di
Dario Coppola
Abbiamo fatto grandi cose e abbiamo grandi progetti ancora tutti da attuare!
Noi non diciamo, come altri in questo paese fanno, che siamo i migliori e facciamo le cose meglio degli altri.
Noi ci sentiamo liberi, nel rispetto profondo di ogni idea e soprattutto di ogni persona; liberi di esprimerci e di proporre eventi sempre più rappresentativi di tutti coloro che, fra noi e fra gli altri, li propongono.
Stiamo per intraprendere un salto qualitativo.
Stiamo crescendo.
Presto tutto questo sarà visibile ai nostri affezionati, tra i visitatori del sito e gli iscritti ai nostri canali sui social network.
Abbiamo cominciato col regalarvi un nuovo logo, sul quale vale la pena spendere due parole:
è la nostra icona, che esprime la vita sociale della città, rappresentata dal suo simbolo più famoso - la Mole Antonelliana - , nella quale, attraverso una lente di ingrandimento a forma di grande Q (per riprendere una bella immagine colta dal mio assistente Flavio Mergotti), si può intravedere tutto il mondo, un mondo fatto di colori diversi - i punti di vista diversi, le varie etnie, le varie generazioni - i colori che la stessa lente assume di volta in volta nei simboli dei Laboratori Culturali Scolastici.
Il logo del nostro portale centrale ha i colori delle squadre calcistiche di Torino (granata e bianco-nero) sempre alla ricerca di un'armonia che parte dal gioco e raggiunge la realtà.
I Laboratori Culturali Tematici cittadini, che saranno presto attivati, avranno proprio i colori della nostra amata città (giallo-blu), il luogo in cui il Quintiliano è nato per raggiungere nel tempo ogni dove.
E Quintiliano? E' lassù sopra la Mole stessa. L'avrete notato. Dall'altezza del suo esempio, siamo edificati ancora noi, qui e ora. Vogliamo concludere proprio facendo nostre, e parafrasando, le sue stesse parole che qui vogliamo compendiare a beneficio di chi vuol trarne beneficio:
Le nostre vane speranze
sono spesso dei sogni,
pensieri e illusioni,
sogni fatti ad occhi aperti.
Chi è giovane e forte
non è un vaso da riempire
ma è una fiamma da accendere,
è una fiaccola che vive.
Tu che insegni non dire
con leggerezza molte cose,
dinne invece anche poche
ma con cura e accortezza.
Tu che insegni sei un padre:
tieni a freno la tua ira
ma non esser troppo buono,
sii giusto, sii onesto.
Ammonisci spesso
e non punire con frequenza,
sii semplice se insegni
resistente nella prova.
Cerca d'essere costante
più che essere esigente
a tutti tu risponderai
e porrai tante domande.
Non devi essere mai aspro,
non odiare chi impara,
non condurre mai lontano
dal piacere di sapere.
Ogni giorno molti esempi
porterai a chi ti ascolta,
proprio la tua viva voce
nutre più di un libro letto.
Il carattere si scopre
anche quando giocherai.
Il discepolo ti guarda,
lui giocando imparerà.
Tutti dagli altri apprendiamo
mettendo in gioco i colori,
da Quintiliano impariamo
a disegnare in unità.
Hanno collaborato nel 2009-10
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