Mamma, che dici, la faccio o no l’occupazione? Vieni con me?» Un momento. Non funzionava così una volta. L’occupazione, diamine, lo dice la parola stessa, era un atto violento, di ribellione, un prendersi spazi che non erano nostri. «Contro» il mondo degli adulti. E invece adesso l’occupazione si fa con la mamma. Succede un po’ ovunque, genitori e insegnanti fianco a fianco ai ragazzi nei cortei, nei sit in, nelle aule. Portano vivande, tengono lezioni, partecipano agli incontri, vengono a prendere i ragazzi sussurrando complici: «Hai sentito? Hanno firmato il decreto». Nel liceo di mia figlia, l’Alfieri di Torino, il preside Riccardo Gallarà ha dormito ieri insieme agli studenti. «Mi sono portato il plaid da casa - dice con un sorriso sornione - sa, sono il capo, loro si sentono più sicuri se ci sono io». «Sono andato a occupare la scuola con mio figlio - ha scritto Sandro Veronesi, come niente fosse - sono proprio dei bravi ragazzi, preparati, intelligenti». Con padri e madri, quelli sì, che «occupano» tutti i posti disponibili, persino nei cortei. «Mamma ma tu le facevi le occupazioni ai tuoi tempi?». No Marianna, io sono di una generazione di mezzo, troppo giovane per il ‘77 e troppo vecchia per la Pantera. Vita da eterni mediani, liceo e università negli Anni ‘80, in tempo per ascoltare i racconti mitici dei fratelli maggiori su striscioni e collettivi, e per vedere sotto i nostri occhi i fratelli minori trasformarsi in paninari. Sono cose che segnano: non è un caso se è la generazione meno rappresentata in politica, che però fa il pieno tra i conduttori tv. Eccoli lì, i miei fratelli maggiori, questa sera nel tuo liceo, con che gioia respirano di nuovo l’odore sudato della giovinezza, fianco a fianco con i figli. Eccoli che ritrovano il grande sogno di combattere tutti insieme per una cosa più grande, contro un nemico che oggi si chiama Gelmini e ha avuto tanti nomi: «Oggi tra genitori e figli c’è un’alleanza - dice Marino Sinibaldi, esperto di movimenti giovanili - la nostra invece era una guerra tra generazioni. Il rischio? Che i ragazzi siano sopraffatti, non riescano a esprimere quella cultura evolutiva capace, come diceva Bob Dylan, di spiazzare gli adulti». Eppure questi ragazzi non sembrano sopraffatti. Maria Lia Malandrino ha lo sguardo sveglissimo, una massa di ricci e la striscia «No Gelmini» come cintura. Suo padre sta parlando in assemblea, è professore universitario e genitore di occupanti come i colleghi Gustavo Zagrebelsky e Renzo Levi. La mamma ascolta in platea. Non ti senti in imbarazzo, chiedo, pensando a cosa avrebbe fatto Mario Capanna in una situazione analoga. «No, perché? Lui non vuole mica che io dica che è mio padre». Lui non vuole, mica lei. Il mondo davvero è cambiato. «Con mio figlio si litiga - ammette il professor Levi - in compenso i miei allievi all’università sono venuti timidamente a chiedermi: professore andiamo a occupare, vuole venire con noi?» Arriva Filippo, rappresentante di istituto: «Non ce l’abbiamo mica con gli adulti - mi spiega paziente, come se fossi un po’ tarda - lo sappiamo bene che ci vuole un ricambio generazionale, che in Italia nessuno molla la poltrona. Ma ci serve la vostra esperienza, lottiamo per studiare meglio, abbiamo bisogno di imparare, che senso avrebbe saltare le lezioni?». Una professoressa sorride quasi incredula: «I miei allievi mi hanno chiesto: “Lei sarebbe disposta a farci lezione al pomeriggio, alla sera?” Pensavo volessero commentare i giornali, la tv, che so. Quello che facevamo noi. No no, loro intendevano proprio studiare latino e greco». Già, è un altro mondo, ma la mia prevenzione iniziale lascia pian piano il posto a uno stupito rispetto: «Sono davvero convinti di quello che fanno - mi spiega il preside - e hanno capito che una mobilitazione esclusivamente giovanile avrebbe un peso minore. La loro paura è solo quella di essere manipolati, strumentalizzati dalla politica». La Gelmini ha fatto il miracolo, ha saldato due generazioni lontanissime. Quella che faceva la coda in un corridoio fumoso al telefono a gettoni: «Mamma non rompere, sto occupando, non ci torno a casa, qui si fa la rivoluzione» e questo centinaio di suonerie che trillano nell’aria limpida: «Mamma dai sbrigati, che facciamo la rivoluzione».
Raffaella Silipo
Da LA STAMPA del 30.10.08
2 commenti:
e che dire dei professori che hanno lottato con noi? un solo grazie sarebbe riduttivo.
marco vitolo
Grazie, Marco! dcop
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