Anche quest'anno il sito centrale del Quintiliano pubblica alcune tesine discusse all'Esame di Stato dai suoi studenti.
Sull'abrogazione della pena di morte
di
Alberto Saluzzo
III G
Liceo Classico Statale Alfieri
Torino
Introduzione
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha individuato, nell’assemblea del 18 ottobre 1970, quattordici argomenti favorevoli all’abrogazione della pena di morte, e tredici di essi erano stati scritti prima del 1820.
Com’è possibile che le motivazioni per eliminare la pena di morte fossero sul tavolo già dal 1820, ma si è dovuto aspettare ancora centocinquanta anni perché queste venissero formalizzate?
Le risoluzioni sono infatti tutte tardive, avvenute dal 1950 in poi e, addirittura, alcune sono recentissime, come l’abrogazione della pena capitale in Inghilterra. L’origine di tale fatto curioso va individuata nel rapporto tra i legislatori e la criminalità.
Si può, inoltre, notare come l’idea abrogativa sia stata partorita inizialmente nell’Illuminismo, ma si è dovuto aspettare il secondo dopoguerra perché vi fosse l’appoggio popolare e la maggioranza negli organi legislativi, necessari per addivenire a un’abrogazione effettiva.
Pena capitale e criminalità
Tutte le nazioni della storia, governate da qualunque istituzione, ebbero nelle loro leggi la pena capitale. Oggi ancora molte di queste la conservano, benché nel tempo sia stato sempre più ridotto il numero dei reati ai quali essa possa applicarsi. Dall’inizio della storia sino al XVIII secolo, le necessità d’utilizzo della pena di morte parevano indiscutibili, ma con l’arrivo dell’Illuminismo, e in particolare dell’esame critico delle istituzioni, si apre il dibattito riguardo all’etica e all’efficacia dei mezzi disponibili alla società per conservarsi.
“Essendo la società necessaria, secondo noi, essa ha tutti i diritti necessari alla sua esistenza; e se agli inizi della sua esistenza, nell’imperfezione della sua organizzazione primitiva, nella rozzezza dei mezzi repressivi, essa ha pensato che il diritto di punire il colpevole era la sua ragione suprema, il suo mezzo di conservazione, essa ha potuto punire senza colpa, perché puniva in coscienza. Oggi e’ diverso, perché nelle attuali condizioni di società, armata di forza sufficiente per reprimere e punire senza versare sangue, sufficientemente illuminata per sostituire la sanzione morale, la sanzione correzionale, alla pena capitale, questa società può restare legittimamente omicida? La natura, la ragione, la scienza rispondono unanimemente di no.”(1)
Lamartine(2)
Il dibattito sulla pena di morte ha assunto sempre maggior rilievo negli ultimi tempi, poiché la sua abrogazione è stata vista quale indice di modernità d’uno Stato.
Per comprendere quali motivazioni abbiano reso così importante e necessario l’abrogare l’esecuzione capitale, dobbiamo analizzare il rapporto che essa ha con la criminalità e con l’attività dei legislatori.
Essi, volti a modernizzare il rapporto tra “libertà dell’individuo” e “ordine sociale”, considerano che:
“There are two methods of curing the mischiefs of criminality: the one, by removing its causes; the other, by containing its effects.”(3)
Madison(4)
Le cause della criminalità sono convenzionalmente imputate al degrado sociale, alla bassa educazione e alla cultura media, alla sproporzionata distribuzione della ricchezza e all’inaccessibilità ai mezzi per elevare il proprio status sociale.
Gli effetti della criminalità sono convenzionalmente considerati i crimini stessi: dalla Seconda Guerra mondiale a oggi, la giurisprudenza europea considera i crimini politici a sè stanti. In tale impostazione, l’attività del legislatore, volta a sconfiggere la criminalita’, deve gestire una guerra su due fronti: eliminare le cause della criminalita’ e contenerne gli effetti.
Eliminare le cause della criminalità
Nelle nazioni democratiche moderne l’attenzione del legislatore deve essere volta all’eliminazione dei mali sociali, poiché si ha la consapevolezza che le condizioni sociali, economiche e culturali, entro le quali il cittadino cresce e vive, determinano molto della sua percezione del rapporto tra “libertà individuale” e “ordine sociale”. E dunque:
“There are two methods of removing the causes of criminality: the one, by destroying the liberties which are essential to its existence; the other, by giving to every citizen a basic culture, a basic wealth, and a common interest.”(3)
Madison(4)
Per rimuovere le cause della criminalità Madison aveva individuato due principali strade da seguire: eliminare le libertà che permettono alla criminalità di esistere e garantire a tutti i cittadini un’educazione di base, una ricchezza di base e un comune interesse. Il primo punto individuato, eliminare determinate libertà, si riferisce a quelle libertà che permettono al singolo individuo di mettere a rischio il bene della comunità. Se non si limita la libertà degli individui, la società non può sussistere. La soppressione di determinate libertà si manifesta autonomamente nella società, attraverso comuni considerazioni riguardo a determinati comportamenti, e dunque:
“Prima che il legislatore possa elevare a legge una tendenza sociale, è consentito ai filosofi di discuterla. Il legislatore è cauto, perché egli non deve errare: il suo errare ricade sull’intera società. Può distruggere una società soffocandola sotto peso di principi e di norme.”(1)
Lamartine(2)
L’attività dei filosofi, evocati come espressione etica dell’analisi critica di una legge come questa, comporta la possibilità di promulgare leggi che non siano solo utili, ma anche giuste e morali; quest’attività è il fondamento dell’analisi critica della stessa società e della sua modernizzazione. Proprio su quest’aspetto si fonda il secondo punto trattato da Madison, ossia il garantire una certa prosperità culturale ed economica a tutti i cittadini e un comune interesse quale, ad esempio, è il sentimento d’appartenenza ad un gruppo, attraverso nuove leggi più attente ai bisogni e alle necessità del popolo. Aumentando il benessere, l’agiatezza e soprattutto il livello di cultura, sempre più cittadini concordano riguardo all’importanza delle leggi e al loro rispetto, ed ecco che la “libertà dell’individuo” non diventa più un ostacolo all’“ordine sociale”, ma diventa la garanzia dell’esistenza di quest’ultimo.
“Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà.”(5)
Beccaria(6)
L’istruzione e il benessere medio, con la facile accessibilità ai mezzi necessari per ottenerli, sono gli strumenti più efficaci per sconfiggere la criminalità ed è proprio a questi che il legislatore deve puntare al momento della composizione d’una legge. Una società che mira a conseguire questi risultati permette una vita dignitosa ai cittadini e garantisce una costante diminuzione della criminalità. Tale strada, tra le due individuate da Madison, conduce all’affermarsi di un’“Etica della Libertà”, un concetto eminentemente illuminista. L’Etica è l’indagine e la riflessione del comportamento operativo dell’uomo, e l’“Etica della Libertà” è oggi considerata quale capacità individuale di distinguere tra le proprie azioni: quelle che preservano o accrescono il bene della comunità e il rispetto del singolo, entro i limiti imposti dalla legge; quelle che violano la legge mettendo a rischio ciò che le prime preservano. L’affermarsi di una “Etica della Libertà” nella cittadinanza, permette di prevenire concretamente la criminalità.
Contenere gli effetti della criminalità
“La statistica dimostra che i delitti diminuiscono in ragione dell’educazione e dell’agiatezza di un popolo, e che la mitezza delle pene tempera l’efferatezza del delitto”(1)
Lamartine(2)
La legge è una convenzione tra individui volta a limitare la libertà d’azione degli individui stessi, ed essa fa ricorso alla punizione per affermare la propria esistenza nella società civile. La punizione diventa elemento fondante della legge e parte essenziale del rapporto tra “libertà dell’individuo” e “ordine sociale”. Ma non è la pena a persuadere i cittadini a rispettare la legge, bensì è la paura della pena a svolgere questo compito. E la società non può fondarsi sulla paura come strumento di coercizione della criminalita’:
“La paura è uno stimolo di cui non bisogna abusare; non bisogna mai promulgare una legge severa quando basta una più dolce.”(7)
Montesquieu(8)
La paura della pena è determinata da due fattori: l’entità della pena e l’effettiva applicazione di questa.
Per quanto riguarda l’applicazione della pena, si deve considerare se le condizioni politiche e di controllo territoriale siano sufficienti a sostenere una tale richiesta legale; ad esempio, le grida manzoniane per essere applicate richiedevano un controllo del territorio superiore a quello disponibile, nonché delle strutture di detenzione e di esecuzione della pena che non erano presenti in numero adeguato.
Riguardo, invece, all’entità della pena:
“La sanzione e’ di due specie, materiale e morale. Queste due sanzioni devono contribuire e insieme soddisfare alla società. Ma la sanzione della legge partecipa più dell’una o più dell’altra delle due nature di penalità a seconda del maggior o minor progresso della società nel cammino della sua spiritualizzazione e perfezionamento; vale a dire che è più materiale o più morale, più tribolatrice o più correttiva, secondo che la pena inflitta dalla legge si applichi più alla carne o di più allo spirito.”(1)
Lamartine(2)
Più le pene sono volte ad infliggere una sofferenza fisica, meno esse sono volte scuotere l’etica del condannato e a persuadere altri a non seguire la sua strada, e sappiamo che i mezzi disponibili non saranno mai sufficienti poiché:
“Le prigioni non saranno mai tanto numerose e le ghigliottine non saranno mai tanto affilate. Nessun sano non può credere che l’allontanare o l’eliminare tutti i criminali curi la piaga della criminalità. Il giorno successivo altri occuperanno il posto di quelli nelle prigioni, sino a ché le strade saranno vuote e nessuno lavorerà e saranno tutti o morti o condannati.”
Robespierre(10)
Il contenimento degli effetti della criminalità non conduce ad un’effettiva eliminazione della criminalità’, ma e’ elemento complementare alla lotta contro quest’ultima, poiché la paura della pena non determina un progresso per la società, ma solo un freno alla sua libertà di determinarsi a crescere autonomamente, e non può dunque essere considerato quale mezzo primario.
Interesse del legislatore
Abbiamo dunque individuato due strumenti di cui dispone il legislatore per far fronte alla criminalità: etica della libertà e paura della pena. Sapendo che la seconda può sussistere solo quale elemento complementare della prima, la prima deve progressivamente sostituire la seconda, in modo da ottenere una società capace di auto-controllarsi ed eliminare altrettanto progressivamente la criminalità. Il conseguimento di questo risultato rende la società tale da essere considerata moderna, poiché i suoi legislatori mirano a diminuire la severità delle pene e rendere queste ultime del tutto correttive. I criminali non vengono più puniti con le stesse pratiche per le quali sono stati accusati, né sono visti come individui non più reintegrabili. L’affermarsi di un’etica della libertà permette alla società di espandersi ed auto-determinarsi senza eccessi di coercizioni, garantendo il rispetto delle leggi e un crescente benessere. I paesi europei moderni hanno vissuto nella seconda parte del XX secolo proprio quest’esperienza, ciascuno con i rispettivi risultati positivi e fallimentari, diventando le prime potenze mondiali ad abrogare la pena di morte e a non usare la paura della pena come strumento primario.
Breve cronologia dell’abolizione della pena capitale
Nazione Ultima Condanna Abolizione definitiva
Italia 4 marzo 1947 1949
Francia 10 settembre 1977 1981
Spagna 17 settembre 1975 1978
Germania Ovest 14 febbraio 1949 1949
Germania Est 26 giugno 1981 1987
Inghilterra 13 agosto 1964 1998
Polonia 21 aprile 1988 1997
Danimarca 15 giugno 1959 1994
Belgio 21 marzo 1952 1991
Romania 25 dicembre 1989 1991
Come si può notare dalla tabella soprastante, l’abolizione della pena capitale è iniziata nelle nazioni europee soltanto dalla fine della II guerra mondiale. Le condizioni politiche non hanno mai permesso di ottenere una maggioranza sufficiente, nella popolazione e negli organi legislativi, a pervenire all’abrogazione della pena capitale nei Codici Penali, nei Codici Civili e nelle Costituzioni degli Stati Europa, ma dal secondo dopoguerra queste condizioni cambiano.
“Nelle democrazie moderne i cittadini e le loro idee, sono frutto delle esperienze politiche passate, poiché la vita politica odierna è il tentativo di rimediare agli errori politici passati.”(11)
Valentini(12)
E, se si cercano gli errori politici delle nazioni europee precedenti gli anni d’abrogazione, subito si nota come l’esperienza dei regimi autoritari di stampo totalitario, vissuta soprattutto in Italia e Germania, abbia portato proprio queste due nazioni ad abrogare la pena capitale - per prime - in Europa.
Le altre nazioni europee l’hanno abrogata negli anni successivi (per comprendere appieno il grafico si deve conferire maggiore importanza all’ultima condanna eseguita, poiché tale data è certa, mentre l’abolizione fa riferimento all’abolizione definitiva, la quale richiede un processo legale lungo, composto da più leggi, in diversi anni, che ne limitavano progressivamente l’applicabilità).
E dunque, quali sono state le motivazioni che hanno condotto l’intera Europa a seguire definitivamente le motivazioni contrarie alla pena di morte, 150 anni dopo la loro composizione?
Come aveva sostenuto Madison, i legislatori hanno due strade da seguire al momento d’affrontare la criminalità. L’utilizzo d’una come principale rispetto all’altra indica la direzione che lo Stato ha preso.
Se si promulgano leggi sociali, rivolte ai cittadini e ai loro problemi, ecco che si mira ad aumentare la prosperità economica e culturale e ad affermare, come abbiamo visto prima, un’etica della libertà.
Se si decide, invece, di aumentare la severità delle leggi e delle pene, e di rendere sempre più letterale la loro applicazione, ecco che si mira ad affermare la paura della pena come strada principale da seguire. Nei primi decenni del XX secolo si è potuto riscontrare l’interesse a seguire la prima più che la seconda via:
“L’affermarsi della massa ha imposto ai legislatori di colmare un nuovo bisogno, quello di uniformare l’accessibilità’ alla cultura, al benessere e ai servizi sociali. Le leggi redatte dovevano piegarsi ad una simile richiesta. Ma la massa non intendeva essere limitata da nuove leggi, intendeva usare tali leggi per accrescere se stessa.”(13)
Ortega(14)
L’unico inconveniente è stato che tale bisogno ha sì imposto ai legislatori nuove leggi, ma ha anche mostrato l’incapacità di costoro a colmarlo e, presto, la società è entrata in crisi.
“Vediamo distintamente come quasi tutte le cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a vacillare: verità e umanità, ragione e diritto. Vediamo forme di governo che non funzionano più, sistemi di produzione che agonizzano. Vediamo delle forme sociali che assumono uno sviluppo ipertrofico. La rimbombante macchina di questo nostro tempo formidabile sembra in procinto d’incepparsi.”(15)
Huizinga(16)
L’imminente arrivo dei fascismi ha segnato ciò che Huizinga considerava la conclusione d’un periodo della Storia europea, poiché questa nuova realtà politica ha risposto alle richieste di riforme sociali, sfociando in una degenerazione dello Stato.
Nei regimi fascisti europei, l’interesse di affermare un’etica della libertà non si è quasi mai palesato, mentre al suo posto era preferita la paura della pena come deterrente della criminalità, e occorre qui ricordare che tale criminalità era decisa da principi politici e non etici.
Questi regimi, completamente versati nell’utilizzo delle tecniche del terrore, hanno percorso la seconda strada individuata da Madison, rendendo sempre più severe le pene e applicandole con sempre maggiore freddezza fino agli anni della discesa in guerra, nei quali l’“ordine sociale” crollò. Qui le leggi furono applicate nel disperato tentativo di mantenere tale “ordine sociale”, aumentando la loro violenza, il terrore che suscitavano, e allontanandosi totalmente dall’affermare un’etica della libertà. Questa esperienza vissuta dall’Europa ha spinto la classe politica successiva ad optare per la strada opposta, ovvero la prima individuata da Madison: l’etica della libertà. Tale svolta ha inevitabilmente determinato un allontanamento dalla seconda via e, dunque, un progressivo indebolimento della “paura della pena” attraverso:
l’abolizione delle pene di cui si era abusato negli anni dei fascismi;
un’applicazione della legge mitigata dall’individualità nel trattare ogni singolo caso.
L’ombra del fascismo che si estese sull’Europa, i danni determinati dal suo metodo politico, la consapevolezza che la società non poteva crescere e prosperare se soffocata dal terrore di pene violente e disumane (leggi razziali e campi di sterminio), segnarono profondamente la scelta dei nuovi legislatori europei, intenzionati ora ad affrontare la criminalità con l’istruzione, con l’agiatezza e nel rispetto delle libertà dei cittadini. Si decise di eliminare la possibilità d’utilizzo esclusivo della seconda strada individuata da Madison, ratificando una nuova Costituzione e abolendo le leggi e le pene considerate violente e fasciste. Ed ecco che la pena di morte venne subito abrogata in Italia, poi in Germania, e a seguire in tutte le nazioni europee. Per la prima volta, a causa degli errori politici passati, come sosteneva Valentini, al sentire, negli organi legislativi europei, frasi ultracentenarie quali:
“La pena di morte, rendendo meno sacro e intoccabile il valore della vita, incoraggerebbe, più che inibire, gli istinti omicidi”(5)
Beccaria(6)
Non si riscontrava un dissenso generale, dovuto a chi sosteneva l’efficacia di tale pena nel far rispettare le leggi, ma un vivo consenso espresso dalla nuova classe politica, classe che promulgò, sotto accesi scontri di partiti opposti, quelle leggi sociali che hanno portato l’Europa a scegliere un'altra strada, la stessa individuata ai tempi dell’Illuminismo, etica della libertà.
Note e riferimenti bibliografici
(1) Alfonso De Lamartine, Discorsi Scelti, I edizione, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1948.
(2) Alfonso De Lamartine, 21 ottobre 1790 - 28 febbraio 1869, fu un poeta, scrittore e politico francese.
(3) Madison James, The Utility of the Union as a Safeguard Against Domestic Faction and Insurrection (The federalist #10), Daily Advertiser, New York, 22 Novembre 1787.
(4) Madison James, 16 marzo 1751 – 28 giugno 1836, filosofo, politico e IV presidente degli Stati Uniti d’America.
(5) Beccaria Cesare, Dei Delitti e Delle Pene, 1764.
(6) Beccaria Cesare, 15 marzo 1738 – 28 novembre 1794, giurista, filosofo, economista, letterato italiano.
(7) Harles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, Cahiers, 1755.
(8) Harles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, 18 gennaio 1689 – 10 febbraio 1755, filosofo, giurista, storico francese.
(9) Maximilien de Robespierre, Discorsi sullo stato, II edizione, Roma, Giulio Einaudi Editore, 1984
(10) Maximilien de Robespierre, 6 maggio 1758 –28 luglio 1794, politico e rivoluzionario francese.
(11) Valentini Francesco, Il pensiero Politico Contemporaneo, I edizione, Roma, Editori Laterza, 1979.
(12) Valentini Francesco, 1924 - , Filosofo italiano.
(13) Ortega y Gasset José, La rivolta delle masse, IV edizione, Milano, Editori Laterza, 1998.
(14) Ortega y Gasset José, 9 maggio 1883 – 18 ottobre 1955, filosofo spagnolo.
(15) Huizinga Johan, La crisi della civilta’, III edizione, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966.
(16) Huizinga Johan, 7 dicembre 1872 – 1º febbraio 1945, storico olandese.
Note e riferimenti bibliografici
(1) Alfonso De Lamartine, Discorsi Scelti, I edizione, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1948.
(2) Alfonso De Lamartine, 21 ottobre 1790 - 28 febbraio 1869, fu un poeta, scrittore e politico francese.
(3) Madison James, The Utility of the Union as a Safeguard Against Domestic Faction and Insurrection (The federalist #10), Daily Advertiser, New York, 22 Novembre 1787.
(4) Madison James, 16 marzo 1751 – 28 giugno 1836, filosofo, politico e IV presidente degli Stati Uniti d’America.
(5) Beccaria Cesare, Dei Delitti e Delle Pene, 1764.
(6) Beccaria Cesare, 15 marzo 1738 – 28 novembre 1794, giurista, filosofo, economista, letterato italiano.
(7) Harles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, Cahiers, 1755.
(8) Harles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, 18 gennaio 1689 – 10 febbraio 1755, filosofo, giurista, storico francese.
(9) Maximilien de Robespierre, Discorsi sullo stato, II edizione, Roma, Giulio Einaudi Editore, 1984
(10) Maximilien de Robespierre, 6 maggio 1758 –28 luglio 1794, politico e rivoluzionario francese.
(11) Valentini Francesco, Il pensiero Politico Contemporaneo, I edizione, Roma, Editori Laterza, 1979.
(12) Valentini Francesco, 1924 - , Filosofo italiano.
(13) Ortega y Gasset José, La rivolta delle masse, IV edizione, Milano, Editori Laterza, 1998.
(14) Ortega y Gasset José, 9 maggio 1883 – 18 ottobre 1955, filosofo spagnolo.
(15) Huizinga Johan, La crisi della civilta’, III edizione, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966.
(16) Huizinga Johan, 7 dicembre 1872 – 1º febbraio 1945, storico olandese.
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