romanzo di Ada Pirocolpo (1994)
"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)
NEREO, IL PITTORE
Giunse
anche l'alba del giorno dell'inaugurazione ufficiale dell'Ateneo di
pittura (e scultura), la cui sede fu ottenuta in affitto dal comitato di
gestione presso alcuni locali del Bargello. Affluirono, tramite
concorso, sessanta giovani già selezionati che iniziarono a mostrare il
proprio talento. Ciò fu motivo di un'ulteriore selezione: tra i più
meritevoli ne furono richiamati soltanto cinque che, possedendo già il
titolo di magistero, poterono essere nominati professori. A loro Ruben, Thomas e
Sebastiano decisero di affiancare due professori e artisti già
affermati, uno dei quali assunse tramite votazione del consiglio
direttivo presieduto da Ruben l'incarico di Rettore. Questi,
artisticamente molto dotato e tecnicamente esperto, si chiamava Nereo.
Ruben conobbe così Nereo, ma era
come se lo avesse conosciuto da molto tempo. Infatti Nereo, di otto
anni più giovane di Ruben, aveva seguito a distanza la sua carriera.
Anche Nereo, come tanti altri, considerò nella prima parte della sua
vita Ruben come un faro che illuminava l'oscurità nella quale egli
soleva camminare. Soprattutto, Nereo ebbe ad apprezzare il vecchio
impegno politico di Ruben:
la
sua svolta a sinistra, prima, e il suo impegno sociale per gli
oppressi, per i piccoli, poi; quanta gente non avrebbe potuto
altrimenti raggiungere una posizione senza un aiuto concreto. Nereo
aveva presto abbracciato l'ideale comunista: questa fu per lui una
tradizione di famiglia, un'eredità, gelosamente custodita e tenacemente
difesa. Nereo aveva considerato Ruben, come anche fu per Eros e
Sebastiano, un guru. Nei loro primi incontri, Nereo chiamava
Ruben col titolo di maestro. Successivamente, Nereo entrò in confidenza
con Ruben; andò talora a seguire le sue lezioni su Nietzsche: Nereo era
affascinato dalla possibilità operativa del pensiero umano e dalla sua
storia.
Gli interessi di Nereo erano
ampi e multiformi, non si fermavano alla sola pittura. Questo però era
il trono, o lo scanno, dal quale Nereo dominava sugli altri campi del
linguaggio. Nereo comprendeva la realtà solo con l'intuizione, che è la
più elevata e diretta tra le forme della conoscenza: è un'arte che
percepisce l'arte. Egli capì presto che la pittura non è che un modulo
espressivo di un universale messaggio. Due autori ancora appassionarono
Nereo: Schleiermacher e Dilthey. Mentre l'interesse pittorico di Nereo
verteva sul simbolismo, composto da una malinconia sempre affiorante.
V'era un altro lato del suo carattere che emergeva negli incontri con
ogni persona: Nereo dimostrava forti difficoltà nella socializzazione,
che superava soltanto grazie al suo talento; egli non riuscì a costruire
relazioni umane, perché viveva bene soltanto con se stesso. Arrivò
persino a rinunciare ai contatti umani, rifiutandoli perché lo
mettevano in seria difficoltà. La cattiveria, l'arrivismo, l'ambizione
sfrenata degli altri uomini produssero in lui un disgusto crescente. Le
fatiche che egli doveva fare per accettare se stesso erano già improbe
che, presto, ne rifiutò altre che non lo riguardassero così da vicino.
Per due anni egli non aveva avuto alcun contatto umano, ed era riuscito
in quel tempo a produrre molte opere raggiungendo grandi e apprezzabili
riconoscimenti.
Arrivò anche a pensare che se avesse frequentato altre persone non sarebbe mai arrivato al successo.
Nereo
accettò l'incarico che Ruben gli diede soltanto perché si trattava di
un onore, di un posto prestigioso e, comunque, questo ruolo gli
risparmiava la parte più umana delle relazioni, ponendolo sopra ogni
membro della scuola, a capo di tutti, come rettore. Con ciò non bisogna
tuttavia pensare che Nereo non fosse esperto in relazioni umane. Proprio
queste infatti lo avevano ridotto così; Nereo aveva anche troppi
presumibili amici, che rivelarono ben presto un interesse non per la
sua persona ma per strumentalizzarne le doti. Ciò che provocava tal
comune atteggiamento in chi frequentava Nereo era però causato dallo
stesso Nereo che era orgoglioso e vanesio. Egli superava le sue
depressioni parlando e autoconvincendosi di avere ragione con discorsi
fatti agli altri, ma che non avevano bisogno di interlocutori fuorché
di lui medesimo. Egli, con quelle parole gettate all'infinito, srotolava
velocemente il tappeto della sua fragilità. Le tante, e troppe, parole
che versava ovunque copiosamente lo resero più capace di produrre arte,
ma ciò acuiva la sua odiosa presunzione agli occhi degli altri. Gli
altri erano da lui cercati solo perché lo celebrassero come sommo
Maestro; egli, invece, quasi odiava chiunque non volesse riconoscerlo
come tale: proprio questo rifiuto Nereo proiettò su di loro come un boomerang
lanciato da chi, subito, corre poi a isolarsi nella torre d'avorio del
suo studiolo. Qui appesa a una parete v'era una copia dell'opera di
Brueghel intitolata Il Misantropo. La fisionomia di Nereo era sorniona
come gli sguardi dei personaggi presenti nella Salita al Calvario dello
stesso Brueghel il Vecchio.
La convinzione di Nereo era
questa: Brueghel stesso in persona era presente in lui, che si riteneva
solo un suo sacerdote laico, un medium; e ne abbracciava
internamente i feriti sentimenti, fornendogli un ricettacolo capace di
cogliere le sue rappresentazioni mentali per plasmarle in opere d'arte
dallo stile popolano, ribelle e ironico. Nereo guardava gli altri
attraverso le sue piccole e colorate lenti che sembravano
cinquecentesche.
Egli era però infelice e malinconico.
Ebbe
ragione Ruben ad affidare un incarico così arduo a un uomo con un così
brutto carattere? Nereo si sentiva finalmente in grado di assurgere così
a vette finora da lui non raggiunte, e poteva certamente entrare in
grotte meravigliose che non aveva ancora esplorato. Per l'Ateneo era un
bene la scelta di Nereo come rettore? Forse Ruben si lasciò condizionare
dalla situazione precaria di Nereo e da quell'amicizia che sussisteva
troppo facilmente tra loro; Nereo, infatti, vedeva in Ruben la
possibilità di confrontarsi e di sfogarsi. Perché Ruben non gli
contestava le idee come invece facevano in coro gli altri. Ruben non
interpretava, né osteggiava la visione del mondo di Nereo. Dal canto
suo, Nereo avrebbe voluto dire a se stesso qualcosa e, non potendolo
fare, delegava Ruben a svolgere tale compito, perché questi
padroneggiava le parole con più maestria e utilizzava quelle opportune e
adeguate. Nereo sembrava voler bene a Ruben, perché il vederlo gli
provocava una serenità che colorava di luce quei fiamminghi paesaggi
dagli oscuri umori. Come d'incanto, Ruben riusciva a trasformare la
Tempesta, che Brueghel continuava a pittare nell'animo di Nereo, nel
dipinto I Giochi dei Bambini, pieno di colori, di divertimento, di
trasgressione e di vita.
I contrasti erano la prerogativa
essenziale di Nereo, che si divertiva trascorrendo da uno scherzo
carnascialesco a una penitenza quaresimale. Blasfemo per vocazione, come
Brueghel stesso, Nereo sentiva in cuor suo una chiamata mistica, e in
alcuni momenti non era per lui necessario neanche parlare, né ascoltare
o guardare, neppure dipingere... perché la divinità stessa si
impossessava di lui, di ogni anfratto più misterioso della sua
immaginazione produttiva. In quei rapimenti dell'animo Nereo per giorni
si ritirava in silenzio; spesso si recava a Santa Croce. Un rito si
ripeteva sempre, dopo ogni sua crisi mistica: egli fissava il
proliferare della mastodontica possibilità espressiva e rappresentativa
dell'umana progenie nel ricettacolo della sua fervida mente; poi si
ritirava nel convento francescano di Fiesole, ove veniva accolto con
molta ospitalità e viveva giorni di silenzio. Tornato nel suo studiolo,
iniziava una nuova creazione artistica, che per lui era la
rappresentazione fenomenica della sua stessa preghiera. Così Nereo
ringraziava quel Dio che egli sapeva amare così, rispondendogli con la
più bella delle sue offerte: la pittura. Grandi uomini e artisti lo
avevano nei secoli preceduto nella sua Firenze, ma Nereo non si
riconosceva in nessuno di loro. Egli si considerava libero e cercava Dio
da solo, senza la mediazione di una comunità umana: la sua era una
vocazione eremitica.
Per Nereo l'Ateneo divenne
presto una torre di Babele. Dopo due anni, egli non ne poté più e lasciò
quel posto, con qualche ombra verso Ruben col quale continuò
un'amicizia meno trasparente diminuendo la frequentazione. La vita
sentimentale di Nereo era fondata sul solo scuro e triste amor di sé;
forse neanche questo si può affermare con certezza: Nereo non amava a
sufficienza neanche se stesso, confondeva l'amore con l'invidia
dell'altrui felicità, che diluiva - quando ci riusciva - in un
atteggiamento di tranquillità godereccia di rivalsa.
Nereo
irrideva ogni istituzione e soprattutto guardava con sospetto al
matrimonio: le esperienze con le donne furono tanto intense quanto
fugaci e insignificanti per il pittore. Nereo cercava solo il piacere
dei sensi e neanche guardava l'amante di turno; a occhi chiusi egli
amava una donna dipingendola, nella sua fantasia, più bella e leggiadra
di ciò ch'ella non fosse. Le cerimonie ufficiali erano bandite dalla
natura intimistica di Nereo: egli cercava qualcosa di meglio, odiava
ogni cosa o persona lo avessero escluso e ferito.
Il
Pranzo di Nozze di Brueghel era il suo quadro preferito: ne teneva
nascosta una riproduzione in un posto in cui da solo egli poteva
indisturbato contemplarlo. Il matrimonio tanto vituperato da lui, a
parole, era un suo segreto dolore che non rivelò mai a nessuno: Nereo si
era sposato giovanissimo di nascosto con una donna che lo lasciò
prestissimo, dopo alcune settimane. Fino ad allora Nereo aveva
considerato come l'apice della sua esistenza il legame matrimoniale,
fraintendendone il senso. La novella moglie capì tardi chi era Nereo e
lo abbandonò per sposare un altro uomo. Ruben cominciò a distaccarsi da
Nereo, del quale non aveva mai condiviso appieno la selvatica concezione
dell'esistenza, ma del quale aveva apprezzato l'arte prodotta dalla sua
ingenuità così resistente a ogni tentativo di addomesticamento. Ruben
volle aiutare, comunque, il pittore e gli affidò di lavorare in privato
per l'Ateneo d'arte: in questo modo, fruttificò la relazione di lavoro
con Ruben, ma non quella di amicizia. Nereo era così riuscito a
liberarsi degli altri direttori dell'Ateneo: con Sebastiano, Nereo s'era
infatti spesso scontrato per ovvi motivi; Thomas non sopportava Nereo per la sua riottosa abulia che reputava irrecuperabile.
La scuola produsse cinque nuovi artisti che si affermarono nel territorio regionale.
Un giorno, sotto Palazzo
Vecchio, Nereo incontrò Carlino, detto Arlecchino. Con lui, infatti,
v'era stata un'interessata amicizia voluta certamente da Carlino. Egli
presentò la sua sposa, la signorina Scozia, a Nereo; al momento del
congedo, Nereo, senza dir nulla, si voltò e se ne andò. Quella scortesia
fece piangere Scozia, e Carlino ne fu amareggiato. Così Carlino
cominciò a intessere una campagna denigratoria nei confronti di Nereo
volta a fargli perdere il posto di collaboratore all'Ateneo d'arte.
Carlino chiese perciò un appuntamento con la direzione dell'Ateneo
portando con sé Scozia. Carlino era ormai un arricchito e opportunista
piccolo uomo d'affari, con una certa influenza in città, sia pure minore
di quella esercitata da Thomas e Ruben. Carlino era sempre
stato un invidioso denigratore di Ruben al punto che, anche se aveva
avuto da qualcuno la notizia della presenza di Ruben in quella scuola di
pittura, non aveva mai voluto crederci. Quando Scozia e Carlino si
trovarono davanti Ruben, come due camaleonti cambiarono tinta e non
seppero più sfoderare la grinta di cui s'erano gonfiati preparandosi
all'incontro. Ruben fu lieto di dover così comunicar loro di togliere il
disturbo subito, per evitare uno spiacevole sviluppo degli eventi. Fu
una gradita sorpresa per Ruben, questa, che la Fortuna gli concesse.
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