romanzo di Ada Pirocolpo (1994)
"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)
IMPRESSIONI A COLORI
Ardesia
conteneva il colore come una lavagna sulla quale dei gessi colorati
imprimono il loro effimero tratteggio che qualcuno, cancellando, riduce a
un alone. Così la giovane ricercatrice s'aggirava per la sua città,
piena di determinazione e ricca di interesse, forte per la sua tenacia
e, a un tempo, tenera per la sua sensibilità. La primavera sbocciò in
quella Torino nella quale fiorivano le forsizie, i gialli fiori di San
Giuseppe, quelli rosei di pesco e quelli bianchi di ciliegio sui rami
degli alberi nei viali che separano i controviali delle lunghe strade
ossessivamente regolari che anche Nietzsche amò. Ardesia desiderava
rinnovare i colori vellutati della sua esistenza proprio come chi vuole
rifare il salotto buono ma non aveva ancora le idee chiare. Quell'anno
si recò a Monaco e, ancora una volta, ella rimase colpita da un dipinto
fiammingo. Stavolta fu Rubens a colpire la sensibilità della giovane
professoressa: il quadro che impressionò Ardesia fu l'Autoritratto con
la Moglie del pittore. L'immagine di un marito e una moglie ritratti
insieme era per Ardesia tutto quello che lei voleva e che non aveva...
Un palpito di commozione improvviso le impedì di continuare a
contemplare quel quadro: Ardesia respirava l'infinito stesso guardando
soltanto una rappresentazione di sentimenti su una tela; la sensazione
era tale che ella scoppiò in un pianto e fuggì di corsa dalla
pinacoteca.
Proprio in quell'anno, in cuor
suo, Ardesia decise di chiedere a sua madre Serena di raccontarle la sua
storia. Finalmente Serena parlò tra singhiozzi e lacrime con ammirevole
pazienza e onorevole coraggio, e raccontò tutta la sua storia a sua
figlia. Ardesia, per la prima volta, in modo netto, venne a conoscere le
sue origini e quella notte non poté chiudere occhio. Non vi riuscì
neanche Serena e, allora, le due donne si ritrovarono in un affettuoso e
commovente colloquio a rivedere la loro triste storia sotto un pallido
chiarore lunare. Il giorno dopo, i pianti e i singulti lasciarono il
posto alla calma più quieta e Serena e Ardesia riuscirono ad
addormentarsi solo quando il sole ormai si levava nello sfolgorante
azzurro del cielo.
Ardesia
e Serena trascorsero, da allora, lunghi pomeriggi al Valentino per
conversare tra i fiori e i profumi della primavera; fra loro si
intrecciò un dialogo sempre... più... tranquillo, e si recarono nel
centro della loro città, frequentando luoghi suggestivi e guardando
solenni architetture: la lapide sotto la casa di via Carlo Alberto,
nella quale Nietzsche scrisse Ecce Homo; Palazzo Barolo del
Baroncelli, in cui visse i suoi ultimi anni e morì Silvio Pellico; il
bel barocco della chiesa dei Santi Martiri - ove è sepolto De Maistre -,
progettata da Pellegrino Tibaldi in epoca rinascimentale; e, sempre del
Rinascimento, il Palazzo Scaglia
di Verrua con i suoi affreschi sulla facciata e il bellissimo cortile;
via Garibaldi: in età romana qui c'era la Porta Segusina in direzione di
piazza Statuto verso il decumanus maximus dell'antica Augusta Taurinorum,
la via più antica di Torino. Piazza Emanuele Filiberto, la chiesa di
Santa Chiara del Vittone; il vicolo e la piazza della Consolata, il
campanile romanico di Sant'Andrea, lo storico Al Bicerin,
rimasto com'era all'epoca di Cavour e Puccini. Ardesia guardava, verso
le tre del pomeriggio, il sole che penetrava i porticati di Piazza
Vittorio, passeggiando sulla sinistra andando verso la collina: allora
poté capire quanto De Chirico ne fu affascinato nel fissare sulle sue
tele quelle inquietanti, lunghe e tetre ombre dei portici riflesse sulle
lose assolate della pavimentazione. Il dialogo fra Ardesia e Serena si
faceva, per converso, sempre... più... tranquillo.
Serena ritrovò la pace ed ebbe il
desiderio di continuare a viaggiare. Così, con sua madre, Ardesia decise
di recarsi nelle più interessanti città italiane, poiché doveva
completare la sua ricerca sul colore, e approfittò della borsa di studio
offertale dall'Università per regalare alla madre degli indimenticabili
momenti. Serena, a sue spese, volle seguire la figlia: entrambe fecero
appoggio a conventi e a case religiose che offrivano un breve soggiorno a
buon prezzo, e che Ardesia in passato conobbe a Torino durante i suoi
studi: ciò permise loro di muoversi senza sprecare danaro per un
periodo relativamente lungo.
Venezia fu la prima meta di quel viaggio in Italia.
Giunsero
nella città, ove trascorsero due giorni di turchese contemplazione: San
Marco, la Giudecca, Murano, Burano, San Giorgio Maggiore, Santi
Giovanni e Paolo, la statua di Colleoni del Verrocchio,
Santa
Maria della Salute e le altre architetture del Longhena, Santa Maria
Gloriosa dei Frari, San Giorgio dei Greci, la casa di Tiziano, San
Rocco, e anche qualche pasticceria come Rosa Salva.
Vetri colorati di blu intenso, rosso e giallo brillavano in quelle trasparenti notti da fiaba.
Serena e Ardesia, passando a visitare l'Abbazia di Pomposa, partirono poi per Ravenna.
La
lucentezza di quei mosaici, tanto cari anche a Klimt, si rispecchiava
in loro: in Sant'Apollinare in Classe la visione del catino absidale
trasfigurò l'animo delle nostre due dame. Andarono poi a vedere il
Mausoleo di Galla Placidia, la tomba di Dante, il Mausoleo di Teodorico,
Sant'Apollinare Nuovo, il Battistero Neoniano, il Battistero degli
Ariani, San Vitale.
Passeggiarono
tra i Fori imperiali, la Via Sacra, videro il Colosseo, Santa Maria in
Cosmedin; poi sostarono all'Arco di Costantino e proseguirono verso
Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Luca Evangelista e,
ancora, il Campidoglio, il Quirinale, la Fontana di Trevi, piazza di
Spagna e Trinità dei Monti, la casa di Keats, San Luigi dei Francesi,
Palazzo Barberini, la Galleria Borghese, le fontane di Roma, le opere
del Borromini e del Bernini, l'Estasi di Santa Teresa nella chiesa di
Santa Maria della Vittoria nella Cappella Cornaro, il Mosè di
Michelangelo in San Pietro in Vincoli, i Musei Vaticani e le stanze
affrescate da Raffaello. Con tenacia adamantina Ardesia prese sotto il
braccio la madre, che si commosse nel vedere tanta magnificenza, e la
condusse al Pantheon. In quei giorni salirono anche al Pincio e
percorsero il Gianicolo e conclusero la visita con piazza Navona, Campo
dei Fiori, Trastevere, Palazzo Farnese e Santa Maria sopra Minerva.
Dopo Roma fu la volta di Napoli.
Qui videro Piazza del Plebiscito, il San Carlo, il Maschio Angioino,
Palazzo Malatesta, San Domenico Maggiore, e soprattutto il Museo
Archeologico.
Ardesia
e Serena non ebbero né il tempo né le possibilità economiche per
spingersi più a sud di Napoli e dintorni in quel viaggio. Riuscirono
però a recarsi ad Amalfi e a Pompei. Qui Ardesia si ricordò del racconto
di Jensen, intitolato Gradiva, che ha per protagonista l'omonimo
bassorilievo che ritrae una donna; Ardesia e Serena avevano visto
qualche giorno prima proprio quel bassorilevo ai Musei Vaticani:
l'eruzione del Vesuvio, che distrusse Pompei in una colata di rossa lava
incandescente, pietrificò la giovane Gradiva nell'atto di scappare, ne
pietrificò il passo e il cuore rubizzo, e tutto il suo corpo. Anche
Ardesia si sentiva coperta di pietra serena, dalla nascita, cioè da
quando sua madre aveva cercato di proteggerla dai ricordi più tristi: se
Gradiva morì pietrificata, Ardesia nacque pietrificata. Ella aveva
voglia di muoversi ma il suo cuore era infelice e non glielo permetteva:
questo viaggio rappresentava la prima volta nella quale Ardesia si era
lanciata come da un fionda in un lungo e vertiginoso volo nello spazio e
nel tempo. Ardesia, guardando quelle opere d'arte, capiva sempre...
più... qualcosa che la riguardava da vicino, nel profondo.
Dopo Napoli, cominciò la forzata salita verso Torino.
Ardesia e Serena però si recarono ancora a Orvieto, Todi, Assisi e Perugia.
Risalirono
la china e giunsero a Siena. Indimenticabile fu quel paesaggio notturno
visto dalla stanza del convento di San Domenico: quelle mura di cinta
illuminate, quelle colline, quel cielo stellato, quella luna piena
rapirono i sentimenti delle due dame. Arrivarono poi a Montepulciano e
avrebbero anche voluto raggiungere Borgo San Sepolcro, Arezzo e Pisa,
ma non disponevano di soldi a sufficienza. L'Università aveva
supportato un po' le spese, e Serena aveva dato un grandissimo
contributo ma, ormai, le risorse economiche permettevano solo il
ritorno. Decisero così di fermarsi soltanto due giorni a Firenze: qui
Ardesia chiese ospitalità a un ostello, ricavato in un antico convento
rinascimentale, vicino a Santa Maria del Carmine a due passi dalle opere
del Masaccio.
Arrivate
a Firenze, visitarono subito Santa Maria Novella e si spostarono verso
il Duomo. Ponte Vecchio le collegò con l'altra sponda dell'Arno che
percorsero con calma. Visitarono la Galleria d'Arte Moderna e il Museo
Opificio delle Pietre Dure. Ardesia fu affascinata dalla Loggia del
Bigallo; poi, iniziarono il percorso vasariano, videro il Museo San
Marco, e anche il Museo Stibbert.
In questa ricerca, in questo
viaggio di lavoro e d'istruzione, ma soprattutto in questa deliziosa
fuga nel mondo dell'arte, ora, desideriamo lasciare sole Ardesia e
Serena. Rispettiamo questo momento della loro rinascita nella città
della rinascita delle arti. Adesso sempre... più... lasciamole sole ad
ammirare i prodigi dei colori perché nell'arte, e nell'origine delle
opere d'arte, possano cogliere l'essere.
Noi ci concentriamo sulle
vicende vissute da un fiorentino che, dall'inizio della narrazione, ci è
divenuto caro e del quale qualcuno comincia a sentire qui la mancanza.
Non è nostra l'intenzione di giocare con i suoi affetti come si gioca
con i colori ma qui vogliamo seguirlo perché ci siamo realmente
affezionati a lui.
In quei giorni Ruben si
apprestava a intraprendere un viaggio in montagna con il caro amico
Sebastiano. Ma Ruben era sempre... in vena di creazioni fantastiche, era
assorto in pensieri che gli facevano quasi perdere la cognizione della
realtà. Per lui una gita in montagna era un arricchimento, una sorgente
di creatività: dopo ogni gita, Ruben esprimeva le sue esperienze con
nuove idee da realizzare.
La
mente di Ruben era sempre... in fermento. Egli non si lasciava andare
mai al tedio: non conosceva la noia perché egli era sempre... impegnato a
valutare, descrivere, produrre idee. Nel microcosmo della sua mente
scorrazzavano immagini provenienti dalla realtà esterna e
dall'inconscio. Non dall'infanzia, ma certamente da tempi ancor più
lontani, un carosello di colori affollava la sua immaginazione: era
una sarabanda di pregiate cornici istoriate dai drammatici e comici
particolari. Una calca di infiniti caratteri si prolungava e dispiegava
nella fervida produzione immaginifica di Ruben. Proprio qui - deposti
con cura - albergavano i suoi più affettuosi ricordi, quelli più cari: i
legami della memoria erano piegati come i tessuti di pregiate stoffe
orientali sfavillanti nel lucido loro realismo; in un magico scrigno
tanti ricordi erano rinchiusi e protetti per scongiurare il pericolo di
sbiadirsi. L'acuirsi del grigiore della caducità è sempre... in agguato,
perciò occorreva preservare la freschezza e il vivido brillare di quei
momenti vissuti da Ruben: non furono mai alterati quei colori; da
sempre... si rinovellavano come l'acqua che sgorga da una sorgente, ed
erano limpidi come il cielo sereno; e se ne aggiungevano dopo ogni nuova
conoscenza: così Ruben seppe mantenere sempre... vivi in lui tutti gli
amici (cioè i colori) e i colori (cioè gli amici). Ruben provava un
senso di eccitazione quando quotidianamente pensava al tempo vissuto con
ognuno dei suoi migliori amici, anche i più lontani. Le libere
associazioni mentali si stagliavano allora verso la costruzione di opere
indicibili della sua mente che disegnavano ambienti, producevano suoni,
creavano climi, inventavano profumi di intima evocazione. Talvolta
queste fantasie assumevano anche il tono dell'erotismo, quando si
condensavano quei rimasugli di sopite esperienze pur provate e perciò
ancor vive nell'immaginazione produttiva di Ruben. Poteva essere
elettrizzante per Ruben anche un solo colore, o un profumo purché fosse
legato al colore; o un rumore sempre... legato però a un colore e a un
profumo; e, ancor più..., se il rumore fosse stato intrecciato alla
visione di un paesaggio o di uno scorcio: l'arancione delle tappezzerie
di un caffè fiorentino, il legno intarsiato dei tavolini d'epoca, le
antiche specchiere dalle cornici pregiate, l'aroma della cioccolata
calda, la voce sommessa degli amici, la soffusa e intima luce del
crepuscolo autunnale, le belle forme delle ragazze, gli abiti raffinati
delle coppie di amanti, la soffice accoglienza delle poltrone in stile
impero, gli sguardi che invitavano e chiamavano, gli occhi sorridenti e
vispi che davano appuntamenti alla sola fantasia di Ruben, la quale
soltanto da questi impulsi partiva e, così, si recava sulle alte e
notturne vette del piacere estetico ed estatico. Era una laica
contemplazione spirituale, fatta di lampi che squarciavano le tenebre
della stessa mediocrità dalla quale era originata trasfigurandola: non
si trattava più di momenti volgari o banali, ma di rari e ricercati
quadri preziosi, incorniciati e incastonati nell'oro della memoria fra
diamanti, topazi, smeraldi e rubini.
Ruben amava la poesia e la considerava il vero preludio alla pittura.
Fervida
la sua mente si librava, ogni volta che egli leggeva alcuni versi che
racchiudevano immagini e colori, come nella poesia di Rimbaud intitolata
Vocali:
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,
Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d'umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli seminati d'animali, pace di rughe
Che l'alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;
O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
- O l'Omega, raggio viola dei suoi Occhi!
Ruben
ripensava al Giudizio Universale, quando era malinconico. Gli veniva in
mente il Cristo Giudice misericordioso di Michelangelo affrescato nella
Sistina... e così Ruben associava spontaneamente i versi di Georg
Trackl, che Heidegger cita nell'opera In Cammino verso il Linguaggio:
La fronte segna i colori di Dio,
avverte le dolci ali della follia
E, ancora, Heidegger, nel descrivere i colori di Trakl, alimentava i pensieri di Ruben, quando dice:
Crepuscolo e notte, tramonto e
morte, follia e fiera, volo d’uccello e barca, straniero e
fratello, spirito e Dio, come anche i termini indicanti colori:
azzurro e verde, bianco e nero, rosso e argento, dorato e oscuro
hanno sempre una molteplicità di significati. Verde è il
disfacimento e il fiorire; bianco il pallore e la purezza; nero la
tenebra che occulta precludendo e l’oscurità che cela custodendo;
rosso la corposità del vermiglio e la delicatezza del rosa, argenteo
è il pallore della morte e lo scintillio delle stelle. Oro è lo
splendore del vero e il ripugnante riso dell’oro.
Mancava starnamente l'azzurro in questi colori...
In quell'anno morì Blue Bill.
Ruben
iniziava a capire come lo stesso colore può essere visto in modi
opposti. E se cambiano le condizioni preliminari, e la nostra vista
potesse cogliere i raggi ultravioletti o infrarossi, anche i colori
sarebbero percepiti diversamente da noi. Ormai Ruben, fiero di sé,
faceva sempre... più... sue le considerazioni di Kant che dice che il
genio è il tramite della Natura che produce arte. E, ancora, capiva
l'affermazione di Goethe secondo la quale l'artista produce arte e così
viene assimilato alla Natura.
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