romanzo di Ada Pirocolpo (1994)
"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)
TINTE ACCESE E SFUMATE
Ardesia percorse presto la via della maturazione.
Il ripido sentiero che la condusse in cima al monticello sul quale poté contemplare il panorama della sua esistenza le permise di guardarne tutte le sfumature possibili. Ardesia fu lanciata presto come l'arma di una fionda dall'infanzia alla maturità. Non poteva certo vedere troppe dicotomie nella realtà, nella sua realtà, giacché proprio una scissione aveva già determinato in Ardesia la più grande delle sue sofferenze: la scissione della sua nascita.
Ardesia leggeva spesso Schopenhauer, il quale parla del principio di individuazione che segna l'ingresso nell'esistenza individuale e l'origine del soggetto dalla massa di Wille, la volontà primigenia. Ad Ardesia pareva di vedere se stessa, la sua nascita, la sua crescita nell'oscillazione fra dolore e noia con pochi momenti di felicità: ad Ardesia brillava lo sguardo... quei suoi occhi verdi, simili a due pietre preziose, acquistavano un'espressione e una lucentezza vive. Ardesia aveva bisogno di sicurezza e di protezione, rimpiangeva il fatto di non essere cresciuta nella serenità, e riconosceva d'essere stata soltanto proiettata in avanti nel tempo. Non per la sua volontà, ma per l'altrui volontà o per la stessa Volontà era avvenuto tutto ciò. Ormai adulta, Ardesia aveva amalgamato le sue esperienze, le sue conoscenze, le sue relazioni: proprio questo distingueva lei come adulta da un bambino che, invece, scinde il mondo in due: buoni e cattivi, male e bene, destra e sinistra, bianco e nero... L'adulto, a differenza del bambino, si sforza di trovare un amalgama fra i contrasti. Ad Ardesia la lettura dei Promessi Sposi fatta sui banchi di scuola aveva giovato. Le era parso di trovare la sua stessa vita da quell'unione degli opposti:
quell'amalgama fra bene e male dal cui impasto, felice o infelice, tutto dipende si poteva trovare in quel romanzo. Dapprima, Ludovico si convertì fino a cambiare nome e divenire Padre Cristoforo; poi l'Innominato, al termine delle vicende narrate, segue la stessa sorte: come i due fuochi d'un'immaginaria ellisse, agli antipodi del romanzo - il romanzo della vita - così l'impasto fra bene e male segnava la volontà di crescere di Ardesia. Ella cercava un possibile accordo fra il primo grado musicale e il quinto per realizzare un suono armonico che può essere reso dolce o aspro solo nel terzo grado, quello che ne determina la caratteristica, il colore minore o maggiore. Grazie a questo accordo è possibile che la donna - e Ardesia conosceva solo il mondo della donna - incontri l'uomo in un'armonia di vitale fecondità. Questo accordo rimaneva ancora dissonante e incompleto all'orecchio di Ardesia perché suo padre - l'unico uomo a lei caro e per lei determinante - era uno sconosciuto; era, tuttavia, così presente nella sua mente ossessionata da quell'assenza, nonostante egli si fosse limitato a gettare Ardesia nell'esistenza per poi scomparire per sempre.
Per Ardesia la vita era stata amara.
Soltanto i suoi grossi sforzi per addolcirla erano gli unici suoi buoni ricordi. Tali ricordi Ardesia imparò a incastonare come gemme incise e aderenti negli incavi della dura pietra intagliata della sua memoria.
Nei cammei della sua mente si vedevano busti d'avorio realizzati con la più sopraffina ed eccelsa sapienza glittica. Come sigilli, questi cammei rammentavano ad Ardesia i momenti più rosei della sua esperienza. Troppe volte Ardesia aveva rischiato di incamminarsi per oscuri sentieri ma sempre... aveva capito, in tempo, quale fosse la sua strada maestra.
L'allegoria del film di Bergman Settimo Sigillo - in quel gioco a scacchi con la morte in persona, in quel duello fra morte e vita... - era presente nella mente di Ardesia che combatteva sempre... contro la distruzione sempre... in agguato.
Ardesia lottava sempre... per vincere, per sopravvivere grazie a un impulso innato che l'aveva prodotta con la forza bruta. L'odio e l'amore, da allora, iniziarono a mescolarsi in un cocktail che estinse lo spirito stesso della tenzone diluendolo sulla tela in un dipinto che rappresenta tra le campagne i colori della coda del gallo da combattimento.
Ardesia era un levigato campo di battaglia.
Quell'anno la nostra professoressa svolse una ricerca sul colore.
Cominciò col riprendere l'analisi del testo di Goethe La Teoria dei Colori. Qui Ardesia studiò gli effetti storici più concreti relativi all'osservazione del colore. Ardesia leggeva Goethe, il quale parla della forte propensione dei primitivi, dei bambini e dei selvaggi verso i colori vivaci come il rosso e il giallo o il variopinto in generale. Ardesia amava invece il nero più... d'ogni altra tinta, e mostrava di non voler far suo nessun altro colore. Ella amava molto guardare i colori attorno a lei. Il rosso scuro, l'arancio scuro e ogni colore oscuro della pittura fiamminga sempre... avevano caratterizzato la sua passione. Ardesia continuava a leggere Goethe e la sua concentrazione aumentò. I colori producono anche lo stato d'animo o si adattano a esso; vi giocano le condizioni ambientali facendo amare a uomini che vivono in vivaci luoghi, come i francesi, colori altrettanto vivi e intensi. Invece, gli inglesi e i tedeschi, gente equilibrata e controllata, come del resto Goethe stesso - cicero pro domo sua -, amano colori caldi simili alla paglia e al cuoio e anche all'azzurro, ma scuro. Gli italiani e gli spagnoli poi amano il rosso dei loro vestiti, hanno un grande senso della dignità: Ardesia era sempre... più... attratta dalla luce e dal rosso della brace... I colori amati dagli spagnoli, il rosso dei quadri fiamminghi, i colori dei vestiti degli italiani nel Rinascimento destavano in lei una curiosità vivida.
E Ardesia continuava la lettura di Goethe scoprendo che gli uomini colti guardano con superiorità e distacco i colori: in questa superba categoria rientrava proprio Ardesia. Il nero per il veneziano nobile può rammentare l'eguaglianza del tempo repubblicano. Ardesia era smaniosa di approfondire la conoscenza di quel colore - il nero - che più... di ogni altro l'attraeva. Il rosso, tuttavia, la tentava ed eccitava, ma chissà per quale motivo ella lo respingeva. Leggeva Ardesia che il rosso, secondo le indicazioni di Goethe, offre un senso di dignità, di gravità di clemenza e di grazia; un vetro di color rosso porpora può far vedere un paesaggio luminoso in modo inquietante: tale è il colore dell'atteso giorno del Giudizio Universale.
Per Ardesia lo studio del colore aveva avuto già una grande importanza nella sua esperienza professionale; d'un tratto, però, ella tornò a ravvivare il suo interesse accesosi, come d'incanto, similmente a una pietra rossa arroventata.
I trattati sul colore scritti in epoche precedenti la sua, sia pur datati e fermi alle scoperte fino ad allora possibili, erano così affascinanti e pregni di verità immutabili.
Il chiaroscuro dei dipinti del Caravaggio rimaneva un inalterato esempio della potenza dell'impressione ottica su Ardesia. Le immagini ad alto contrasto erano le più facili da ricordare: quel realismo lasciava più facilmente dei segni, trasferiva le vecchie esperienze, traduceva i vecchi traumi nel linguaggio della luce. Sul chiaroscuro Ardesia leggeva ancora Goethe il quale dice che anche in Italia esso prende il nome di piazzoso e che a Ercolano e nelle Nozze Aldobrandine se ne trovano esempi.
Altri esempi più moderni di chiaroscuro Goethe indicava nei dipinti Raffaello, del Correggio degli Olandesi e di Rubens...
Il chiaroscuro più... contrastante della sua vita era per Ardesia il mistero della sua origine: la giovane professoressa aveva imparato però ad armonizzare le tinte contrastanti con tonalità tenui e sfumate alla maniera leonardesca: Ardesia amava quei 'dolci lumi', per dirla col Vasari.
Altri testi settecenteschi diventarono preziosi per Ardesia che era ormai completamente immersa nella sua estenuante ricerca. Burke illuminò il cammino di Ardesia verso il linguaggio del colore. Nell'Inchiesta sul Bello e il Sublime, Ardesia ebbe a leggere che i colori eleganti e belli non sono quelli oscuri e torbidi ma quelli chiari e puri, e che essi non devono avere tonalità troppo vive e accese; i colori che designano la bellezza sono proprio quelli tenui come il verde chiaro, l'azzurro pallido, il bianco spento, il rosa, il viola... Se tali colori sono vivaci occorre, secondo Burke, che siano accostati a tanti altri diversi, secondo l'esempio dei fiori variamente colorati nella fusione armonica e graduale di un prato, così come cambiano i colori nel collo e nella ruota dei pavoni. Un'altra osservazione di Burke attirò Ardesia, la quale ormai aveva elaborato una personale teoria sul colore. Burke dice che l'unità è necessaria alla vastità; e se alcuni raggi luminosi di natura cangiante, ora rossi o azzurri, ora quadrati o triangoli, colpiscono l'occhio si verifica un rilassamento, una quiete che provoca della calma. Ardesia, per giorni e giorni, proseguì con i suoi studi e concluse che ogni colore tenue è corrispondente alla maturazione di ogni Weltanschauung, di ogni visione del mondo. Occorre dosare i forti contrasti con sapiente discrezione, con discernimento, senza rinunciare alla delizia suscitata dai colori vivi, permettendone la brillantezza e l'espressione, ricche di significato nell'armonia degli equilibri.
Ardesia lesse, a compimento della prima parte della sua ricerca, un passo di Gregorio di Nissa, tratto da La Creazione dell'Uomo: qui la bellezza divina è accostata all'immagine della pittura e dei colori. I pittori sanno adattare le tinte della natura all'oggetto e così realizzano un dipinto, così come fa Dio con la natura. Ardesia fu colpita dalla metafora che vede per oggetto i sette colori dell'iride: essi permettono il passaggio dai sette vizi alle sette virtù... ne nasce una varietà di armonia indicibile.
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