romanzo di Ada Pirocolpo (1994)
"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)
PIOGGIA DI COLORI E SIMPOSIO
Ruben
aveva sempre pensato che un'amicizia con una donna fosse impossibile.
Era stato triste l'epilogo del suo rapporto con Scozia che gli aveva
lasciato una ferita ancora viva. Egli non voleva rivangare il passato,
eppure a Ruben sarebbe piaciuto stringere con lei un'amicizia ma tale
legame con una donna era inequivocabilmente sempre un preambolo di un
rapporto più intimo. A parte Scozia, tutte le amiche di Ruben erano
diventate le sue amanti; tutte eccetto una: Mirta, che dopo essere stata
amante di Ruben, seppur non corrisposta, era rimasta davvero una cara
amica.
In questi anni Ruben aveva
visto molte volte Mirta: con lei si era consultato per alcune sue
determinanti decisioni; con Mirta, Ruben formava una coppia affiatata,
non più di amanti ma di confidenti, e i due amici continuavano a
frequentarsi. Il loro rapporto, già intrecciatosi con quello di Eros,
rimase inalterato nel tempo, finché Eros in una sera grigia d'autunno
andò a casa di Ruben: qui fu accolto dalla famiglia con molta
cordialità, mentre attese l'amico ancora impegnato all'Ateneo di
pittura. Tornato a casa, Ruben fu felice di trovare Eros. Un forte e
caldo abbraccio legò ancora una volta il loro affetto, immutato nelle
tinte ancora originali, le stesse del giorno in cui si erano conosciuti.
Dopo una cena, alla quale la famiglia di Ruben volle insistentemente
che Eros partecipasse, i due amici poterono parlare tutta la sera. Eros
aveva riflettuto a lungo in questi anni: la sua amicizia con Mirta era
sempre... viva. Due persone Eros aveva nel suo cuore: proprio quelle
due: Ruben e Mirta. E ora Eros aveva deciso di sposare proprio colei che
un tempo amò Ruben; ma volle comunicarne l'intenzione a Ruben prima che
a lei, quasi per chiedergli un permesso.
Dapprima
Ruben mostrò una grande sorpresa nell'accogliere la notizia; ma la
meraviglia si tramutò subito in gioia. Eros rappresentava la più bella
allegoria di Ruben stesso: egli si poteva così unire dunque a Mirta, che
altri non avrebbe voluto se non Ruben stesso; tali due parti avrebbero
trovato così congiunzione nel legame, e Dio stesso avrebbe vegliato su
di loro nel sacramento nuziale.
Ruben vide ricolorarsi, nella celebrazione di quelle nozze, ogni sua esperienza affettiva.
Egli
sentiva il profumo della novità, della vendemmia, dell'uva fragola, del
mosto... Vedeva ora con distacco quegli ancestrali limoni rimasti
impressi nella sua memoria. Era terminato un importante periodo della
sua vita. Questo matrimonio segnava una svolta irreversibile. I fiori
d'arancio prendevano il posto dell'agro sapore di un limone non ancora
maturo. Come nella notte della festa patronale nella quale i fuochi
d'artificio si stagliano nel cielo e si vedono dai lungarni, così si
colorava di festa adesso anche l'inconscio di Ruben. L'incontro tra
Mirta ed Eros, ora uniti come non mai, fu vissuto con percepibile
emozione da ognuno dei tre vecchi amici.
Ruben fu chiamato come testimone di nozze da Eros.
Il matrimonio avvenne a Santa Croce.
Una
cascata di nuovi colori iniziò a sgorgare dal simposio d'Amore,
celebrato in quel sacrario. Tutti erano riuniti per ricominciare una
nuova vita, un nuovo romanzo: perché anche qui il romanzo è vita e la
vita è romanzo.
Fu un simposio
al quale tutti i vecchi amici di Ruben convennero. Erano lì presenti con
loro, al di qua nello spazio, anche i grandi uomini del passato che
col loro fulgido esempio parteciparono a questa festa, al di là del
tempo; trascoloravano dai secoli: l'azzurro di Galilei, il rosso di
Buonarroti, il giallo di Alfieri, il verde di Foscolo...
Dopo
il rito, scandito da silenzi e suggestioni, Ruben si ritrovò in un
altro momento del simposio, che vedeva insieme tutti i personaggi della
sua vita, del romanzo di cui Ruben era protagonista. Questo convito
aveva una variante: adesso Ruben vedeva e ascoltava, senza essere più
protagonista, tutti coloro che erano stati determinanti nella sua
affettività:
Silvestro, che seppe riempire la
vita di Ruben d'allegria, di esuberanza, di rumori, di goliardia, di
comicità spesso involontaria, di goffaggine reale, di inquietudine, di
amore per lo sfoggio; da Silvestro emanava una luce verdolina...
Fabrizio,
che ancora scandiva le giornate di Ruben facendosi vivo di quando in
quando con la sua presenza malinconica, emotiva, sofferente,
giocherellona, bisognosa di protezione, a modo suo anche attenta ai
dettagli dell'altrui delicatezza: emanava da lui una rassicurante luce
notturna...
Riccardo
che, pur nella sua sincerità a volte poco diplomatica, trasmetteva
onestà e limpidezza, ricercava una morale rigorosa, retta, fatta di
buone intenzioni; il suo affetto per Ruben ebbe solidi radici, senza
secondi fini: emanava da Riccardo una luce chiara e fluorescente...
Scozia,
che aveva portato per la prima volta (e poi tolto per le volte
seguenti) nel cuore di Ruben il primo desiderio d'amore verso una donna:
da lei emanava un turbinio di colori in fermento...
Thomas,
sempre... attuale, sempre... presente, sempre... rassicurante,
sempre... padrone della situazione, il signore dei rapporti
interpersonali, gentile, concreto: da lui e da Marella emanava una luce
vermiglia...
Sebastiano,
che rinnovò il sentimento dell'amicizia in Ruben, facendo sorgere in
lui il desiderio di fraternità o di paternità: per Ruben, Sebastiano
era come un fratellino, se non come un figlio: da lui emanava una luce
serena e celestiale...
Nereo: anch'egli era presente!
Eppure
per nessun altro avrebbe partecipato a un matrimonio. Perché allora
c'era anche lui? Eros, l'Amore con la A maiuscola, era stato capace di
realizzare davvero l'impossibile. Eros seppe unire anche ciò che
sembrava diviso per sempre... come il cuore di Nereo stesso: da questa
profondità emanava una luce sinistra, oscura, misteriosa...
L'unico che mancava all'appello era Blue Bill, che ormai viveva in uno stato sempre... più... simile a quello vegetale.
La
ragione prevalse sul sentimento. La ragione assembrò in un'orchestra di
colori quelle vite e diresse una sinfonia dolce ed equilibrata nei suoi
temi e nelle sue fughe, che pervase l'animo di Ruben. Egli ringraziò,
in cuor suo, tutti gli amici per ciò che gli avevano dato fino a quel
momento. Essi contribuirono a far germogliare in lui gemme preziose di
puro amore, talvolta non subito riconoscibile, per l'esistenza.
Giungeva così il momento in cui queste gemme fiorirono. Ruben volle
cogliere quell'attimo fuggente intimandogli di fermarsi: in quella festa
nuziale s'era dipinto un affresco dugentesco dell'amicizia nell'animo
gentile di Ruben. Sovvenne alla sua memoria il sonetto dantesco: "Guido,
i' vorrei che tu Lapo e io".
Quel vagheggiare, quell'aria
incantata... ogni cosa era stata per Ruben una sequela di suggestioni
colorate che avevano impressionato di colori accesi la camera oscura
della sua percezione; ciò aveva prodotto effetti positivi e negativi in
lui. Dopo la conversione egli si diede alla lettura di opere di alta
spiritualità e fu molto consolato nel venire a conoscere come i mistici,
i religiosi, i santi vissero le loro relazioni affettive.
Ruben
fu colpito dal legame che strinsero il beato Giordano di Sassonia e la
beata Diana d'Andalò, un'amicizia vissuta nell'alveo della protezione e
della consolazione divina: questa era la nuova aspirazione di Ruben.
Egli era ignaro di quanto
avrebbe ancora potuto conoscere salendo le scale mistiche della sapienza
ed entrando nelle stanze e nei luoghi in cui lo avrebbe guidato ancora
Madonna Amicizia nel suo sacro convento. In quei corridoi infiniti e in
quei saloni, tra quegli specchi, ormai Ruben si era a lungo aggirato
senza mai tediarsi, ma non aveva ancora riconosciuto la più prelibata
delle forme dell'amicizia, cioè l'amore nella sua più particolare e
intima luce, ciò che comunemente è chiamato amore, ossia quel sentimento
che poteva esser solo corrisposto in una relazione fra sessi opposti,
secondo Ruben; egli sentiva avvicinarsi sempre... più... quel momento da
che l'amico Eros, il suo alter ego, sposandosi con Mirta -
frutto proibito fino a quella sacra unione - aveva così spianato il
terreno per nuovi viaggi intorno all'orizzonte iridato dell'Amore e
dell'Amicizia.
Come
Acate con Enea, così Eros con Ruben si dirigeva accompagnandosi in un
viaggio interiore, introspettivo; come il minatore che scruta nelle
grotte più profonde alla ricerca di mondi nascosti. E così Ruben/Eros
continuò a ricercare dentro se stesso.
Al fondo della grotta egli trovò, infine, proprio se stesso.
La sua ricerca ispirata da un romantico desiderio, alla maniera di Novalis, era indirizzata a rintracciare il tempio di Sais,
ovvero la dea Iside in persona. Proprio ora la tonalità dell'animo di
Ruben assunse un riflesso pregiato: l'oro e e l'argento brillavano
procurando un irreale luccichio che trasfigurava ogni cosa; egli aveva
fatto tesoro dell'insegnamento dell'Amore. Un amore prima inconsapevole
lasciava il posto ora a quello sempre... più... consapevole.
La conversione trasformò Ruben in un uomo nuovo?
Sì, ma soltanto poiché egli non
rinunciò neanche a una scintilla colorata del suo passato. Ruben teneva
sempre con sé, vivo, ogni antico ricordo: ricordava proprio tutto;
cercava di adattare il passato al nuovo orizzonte che gli si prospettava
davanti.
Ciò che prima per
Ruben era considerato buio e oscuro adesso acquisiva un senso definito,
la notte era fatta di riflessi sereni.
Per
sempre... s'impresse nel cuore e nella mente di Ruben la citazione di
una sinestesia pascoliana: "Dormi! Bisbigliano, dormi! Là, voci di
tenebra azzurra".
Ruben poteva ora dormire
tranquillamente, sotto un crepuscolo sereno. Per converso, in vero, egli
così rimaneva desto: anche il sonno diveniva destarsi. Ruben imparò a
essere un po' desto anche dormendo, mentre già, da sempre..., egli aveva
vissuto l'opposta condizione: l'essere un po' sopito durante la veglia
diurna.
Ciò permise a Ruben di
comprendere i suoi sogni e di accorgersi che molto di ciò che sembrava a
lui vivere nella realtà diurna non era che un sogno.
Una cascata sfolgorante di fuochi d'artificio segnò, ancora una volta, la notte fiorentina di San Giovanni Battista.
Ruben
riconobbe il formarsi delle colorate figure di fuoco nel cielo notturno
- come si fa con le nuvole - che riflettevano immagini provenienti dal
suo inconscio profondo. Ruben vi riconobbe mostri marini dalle superbe
fattezze, un brulicare di esseri proteiformi dalle più disparate
sembianze: tutte quelle figure, considerate a una a una, sembravano
pervadere e disperdere la fantasia di Ruben ma, assembrate, riunivano i
tratteggi di un volto al tempo stesso umano e divino che scompariva e
compariva. Questo intravedersi non si fece mai chiaro. Quella fantasia
rifletteva una policromia mitologica, ove risuonava una polifonia
dodecafonica. Tutto ciò era la rappresentazione visionaria della fede
nell'unico ispiratore, nell'unico arché di ogni cosa: il vero
pittore, il disegnatore della storia di Ruben e dei suoi colorati amici:
l'uomo/Dio colorato era Cristo proiettato nella vita di Ruben.
Il
rosso del sangue di Cristo, che scorre eternamente bagnando le zolle
della terra per redimerla, aveva da sempre... inebriato Ruben prima
ancora che questi, solo ora, potesse riconoscerlo come suo.
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